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SE QUESTA E' LA BUONA SCUOLA, COME SARA' MAI QUELLA CATTIVA?

Scritto da Salvatore Seno. Postato in ALTRE NOTIZIE

Ogni giorno il mondo della Scuola presenta un "Bestiario" di avvenimenti che a volte fanno sorridere, a volte fanno infuriare, quasi sempre lasciano un senso di amaro in bocca. Ma è proprio questa la Buona Scuola? 

Il DS ordina ai bidelli di fare da badge umano per i prof


di Lucio Ficara, La Tecnica della scuola, 11.3.2018

 
Un Dirigente scolastico di un Istituto di Istruzione Superiore della provincia di Livorno, probabilmente stanco dei continui ritardi degli insegnanti, ha emanato una curiosa circolare, con la quale incarica i bidelli di fungere da “badge” umano per i l’entrata dei prof.
 
CIRCOLARE SULLA RILEVAZIONE DEI RITADRI DEI PROF
 
Il 10 marzo scorso, il Dirigente scolastico di un IIS della provincia toscana di Livorno ha emanato una circolare nella quale scriveva: “Si comunica che da lunedì 12 marzo i collaboratori scolastici sono incaricati di rilevare gli ingressi del personale docente, al fine di assicurare la presenza in classe 5 minuti prima dell’inizio delle lezioni (art.29 comma 5 del CCNL scuola 2006/2009). I moduli consegnati ai collaboratori scolastici recano i nominativi di tutti i docenti che prendono servizio alla prima ora in ogni giorno della settimana.
 
Per garantire la presenza in aula alle ore 8.05 – si leggeva ancora nella Circolare – , se si considera il tempo necessario per predisporsi all’attività didattica (passaggio dalla sala docenti, presa visione delle recenti circolari, comunicazioni con i colleghi, ecc…) sarebbe auspicabile un ingresso nell’edificio per le ore 8.00.
 
I collaboratori presenti alla prima ora, saranno per tanto tenuti a registrare solamente gli ingressi successivi alle ore 8.00.
 
I ritardi, ovviamente giustificati, saranno cumulati in eventuali ore di servizio da recuperare. La ripetizione perpetrata di ritardi, anche se giustificati, potrà costituire elemento materiale per contestazione d’addebito disciplinare
 
NORMATIVA DI RIFERIMENTO E ILLEGITTIMITA’ DELLA CIRCOLARE
 
Ma una Circolare del genere è legittima? Cosa dice la normativa? Nel CCNL scuola 2006/2009 e nell’ipotesi di CCNL 2016/2018, l’obbligo di adempiere alle formalità previste per la rilevazione delle presenze è previsto per il solo personale Ata, invece per i docenti la rilevazione della presenza è formalizzata con la firma sul registro di classe e nel caso di attività collegiali con il verbale, in cui sono rilevate presenze e assenze.
 
Il D.lgs. 150/2009 e quello 75/2017 non hanno modificato nulla riguardante il modo di rilevare la presenza del docente a scuola. Per i docenti l’unico sistema di rilevazione della presenza in servizio previsto è la firma sul registro di classe in corrispondenza del giorno e dell’ora del proprio turno di servizio, oggi con i registri elettronici tra l’altro la rilevazione è rilevabile istantaneamente e in tempo reale da famiglie e Dirigente scolastico.
 
Bisogna ricordare che per norma contrattuale, per l’art.29 comma 5 del CCNL 2006/2009, il docente ha l’obbligo di trovarsi in classe cinque minuti prima dell’inizio delle lezioni.
 
I COLLABORATORI SCOLASTICI NON HANNO QUESTO COMPITO
 
Inoltre tra i compiti contrattuali che possono essere assegnati ai collaboratori scolastici non esiste l’incarico di rilevare gli ingressi dei docenti e di registrare l’orario di entrata in Istituto di ogni docente.
 
Il Ds avrebbe potuto, per restare nella piena legittimità della sua azione di controllo, fare lui la verifica della presenza in classe, 5 minuti prime dell’avvio delle lezioni, dei docenti della prima ora, oppure farla fare ad uno dei suoi docenti collaboratori.

Ds ordina ai docenti la processione in presidenza per firmare


di Lucio Ficara, La Tecnica della scuola, 3.3.2018
In un noto liceo della Calabria una Dirigente Scolastica emana una circolare interna, in cui impone ai docenti l’obbligo della firma nel registro cartaceo posto in presidenza. Questa firma dovrebbe essere apposta da tutti i docenti poco prima della loro prima ora di servizio.
 

ECCO I PUNTI SALIENTI DELLA CIRCOLARE EMANATA DALLA DS

La Dirigente scolastica cita il Decreto Legislativo n. 150/09, il Decreto Legislativo n.75 del 25 maggio 2017, il CCNL comparto scuola 2006/2009 e l’Ipotesi di CCNL 2016-2018 e per tali dispositivi normativi determina che, al fine di ridurre il fenomeno del ritardo che comporta disfunzioni all’attività didattica con gravi ricadute nel buon andamento della scuola di assumere le seguenti azioni, i docenti devono apporre all’entrata, dalle ore 8.00 alle ore 8.10 e sempre entro i dieci minuti prima dell’avvio delle ore nelle successive, la firma di presenza sul registro cartaceo. Tale firma, è scritto nella circolare interna, si appone sul registro collocato nell’ufficio di Presidenza. Tale obbligo riguarda tutti i docenti che assumono servizio alla prima ora e/o nelle ore successive alla prima. Il presente atto si ritiene in vigore da lunedì 5 marzo 2018.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO SULLA FIRMA DI PRESENZA DEI DOCENTI

Bisogna sapere che l’unico obbligo che ha il docente per attestare la sua effettiva presenza a scuola è la firma sul registro di classe, non esistono, almeno per ora, obblighi di firmare altri fogli di presenza o addirittura di utilizzare il badge come il personale Ata. Nel CCNL scuola 2006/2009 e nell’ipotesi di CCNL 2016/2018, l’obbligo di adempiere alle formalità previste per la rilevazione delle presenze è previsto per il solo personale Ata, invece per i docenti la rilevazione della presenza è formalizzata con la firma sul registro di classe e nel caso di attività collegiali con il verbale, in cui sono rilevate presenze e assenze. Il D.lgs. 150/2009 e quello 75/2017 non hanno modificato nulla riguardante il modo di rilevare la presenza del docente a scuola.

SENTENZA CASSAZIONE SU CONTROLLO ORARIO DI LAVORO

La sentenza n. 11025/2006 della Corte di Cassazione è entrata nel merito del controllo dell’orario di lavoro dei dipendenti pubblici. Infatti per i dipendenti pubblici l’obbligo di adempiere alle formalità prescritte per il controllo dell’orario di lavoro deve discendere da un’apposita fonte normativa di tipo legislativo o di tipo contrattuale. Per i docenti l’unico sistema di rilevazione della presenza in servizio previsto è la firma sul registro di classe in corrispondenza del giorno e dell’ora del proprio turno di servizio, oggi con i registri elettronici tra l’altro la rilevazione è rilevabile istantaneamente e in tempo reale da famiglie e Dirigente scolastico. Bisogna ricordare che per norma contrattuale, art.29 comma 5 del CCNL 2006/2009, il docente ha l’obbligo di trovarsi in classe cinque minuti prima dell’inizio delle lezioni.


Docente scrive nota disciplinare sul registro elettronico e viene denunciata per diffamazione

di Vittorio Lodolo D’Oria, Orizzonte Scuola, 23.2.2018

Sono a tutti ben noti i crescenti episodi di aggressione fisica e verbale cui sono sottoposti gli insegnanti da parte degli studenti e dei loro genitori.

Tuttavia vi sono casi meno eclatanti ma altrettanto gravi che non conquistano la ribalta delle cronache pur lasciando cicatrici psicologiche sul docente e sulla sua famiglia.

Lettera di un’insegnante

Gentile dottore, sono una docente con 30 anni di insegnamento senza demerito alcuno (anzi) quando vengo denunciata per “diffamazione aggravata” nel marzo 2014 da una mia studentessa per averle comminato una nota disciplinare sul registro elettronico in cui definisco il comportamento della ragazza “estremamente maleducato” (se vorrà le dirò a cosa mi riferivo). Inizia per me un incubo: dimagrisco, perdo capelli, perdo il sonno, finisco in ospedale per sospetto attacco cardiaco (era “solo” un attacco di panico); l’incubo finisce 13 mesi dopo con archiviazione del caso da parte di un magistrato che non solo ritiene infondata la notizia di reato, ma che ritiene la mia condotta “estrinsecazione dei doveri di insegnante/educatrice”. L’avvocato penalista me lo sono però dovuta pagare io, l’assicurazione della scuola si è data alla macchia, io e la mia famiglia per sostenere la spesa non siamo andati in vacanza in estate. Anche queste sono pugnalate, mi creda. In un anno e un mese nessuno sapeva nulla (tranne il dirigente cui avevo riferito) e nessuno ha capito nulla; il mio atteggiamento è sempre comunque stato leale, corretto e tranquillo sia davanti ai colleghi che di fronte agli studenti. Gli insegnanti dovrebbero sapere che possono anche accadere queste cose. Io non volevo crederci, mi sembrava di vivere in un film. Ma soprattutto bisognerebbe sapere che il registro elettronico è ritenuto “pubblico” anche se l’accesso alla propria pagina è agibile solo con password. Se si fosse trattato veramente di diffamazione, sarebbe stata “aggravata” (e quindi penalmente perseguibile) proprio perché considerata equivalente a quella “a mezzo stampa”.

Commenti

Episodi come questo sono in costante aumento anche se le cronache non li riportano. Arroganza e prepotenza possono infatti manifestarsi con la violenza fisica o attraverso le carte bollate a seconda del livello culturale e della disponibilità economica dell’utenza. Le conseguenze per il povero docente sono evidenti e spaziano dall’ansia alla depressione con tutto un corredo sintomatologico tempestato da gravi somatizzazioni. A completare il quadro, anche quando la sentenza assolutoria premia il docente, ecco il danno economico dovuto alla “compensazione per le spese legali” che condanna l’insegnante a impegnare il suo povero stipendio (più mensilità ovviamente) in parcelle di avvocati più o meno esosi. Per la famiglia dello studente, presumibilmente facoltosa, nessun problema economico e soprattutto la soddisfazione di aver levato almeno il sonno alla controparte causandole inoltre un significativo detrimento economico. Cosa fare per fronteggiare siffatti rischi? Sembra giunto il momento – come in Francia dove un docente su due è assicurato – di doversi munire di una polizza assicurativa con poche decine di euro che consenta di vivere sereni, per tutto l’anno scolastico, di fronte ai tempi che cambiano. In questa storia, come in molte altre simili, un’assicurazione professionale avrebbe davvero fatto la differenza.

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Il Ds distribuisce il bonus del merito in modo ambiguo

di Lucio Ficara, La Tecnica della scuola, 8.2.2018

Probabilmente il bonus del merito verrà sottratto dalle mani dei dirigenti scolastici e verrà regolato dal contratto collettivo nazionale 2016/2018, questo eviterà alcune criticità e ambiguità che ci vengono, puntualmente e sistematicamente, segnalate da alcuni docenti. Ci viene segnalato, ad esempio, il caso di un Istituto di Istruzione Superiore della provincia di Reggio Calabria, dove il Dirigente Scolastico ha distribuito il bonus del merito 2016/2017 in modo ambiguo e poco chiaro.

ERRORI RIGUARDO LA PUBBLICAZIONE DEL BONUS DEL MERITO

Il suddetto Ds ha emanato una nota in cui ha pubblicato i nomi e i cognomi dei docenti premiati, non specificando correttamente i dati aggregati delle cifre distribuite.

A rigore di legge e di norme vigenti, come avrebbe dovuto agire il Ds nel comunicare l’assegnazione del bonus del merito? Avrebbe dovuto pubblicare i nominativi dei premiati? A queste domande ha risposto il Miur con la faq n.20 sul bonus del merito: “Come dare trasparenza alle scelte e come pubblicare i dati sull’assegnazione del bonus?”.

In merito alla pubblicazione dei premi per i singoli docenti, mancando un’indicazione di riferimento specifica per la scuola, è opportuno fare riferimento al D.Lgs.33/2013 come aggiornato da D.Lgs. 97/2016, in vigore dal 23 giugno 2016, all’art. 20, comma 1 e comma 2, in cui si evidenzia che: “Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati relativi all’ammontare complessivo dei premi collegati alla performance stanziati e l’ammontare dei premi effettivamente distribuiti “. Le pubbliche amministrazioni pubblicano i criteri definiti nei sistemi di misurazione e valutazione della performance per l’assegnazione del trattamento accessorio e i dati relativi alla sua distribuzione, in forma aggregata, al fine di dare conto del livello di selettività utilizzato nella distribuzione dei premi e degli incentivi, nonché i dati relativi al grado di differenziazione nell’utilizzo della premialità sia per i dirigenti sia per i dipendenti. Inoltre risulta quanto mai opportuno che il Dirigente scolastico comunichi le motivazioni delle sue scelte al Comitato di valutazione e a tutta la comunità professionale, in forma generale e non legate ai singoli docenti, proprio per una continua regolazione e qualificazione del processo”.

Il Ds in questione non solo non ha fatto nulla di quanto auspicato dal MIUR, ma ha fatto addirittura deliberare il Comitato Valutazione riguardo i criteri del bonus del merito a fine anno scolastico (la data riportata è il giorno 01/07/2017) pubblicando questi criteri solo 20 giorni prima della scadenza delle candidature dei docenti per ottenere il bonus premiale. Sembra quanto mai ambiguo deliberare i criteri a fine anno scolastico piuttosto che all’inizio. Stranezze che forse avranno anche una motivazione, ma che sicuramente lasciano molto perplessi e dubbiosi.

IL DS STABILISCE IN AUTONOMIA QUANTI DOCENTI DEVONO ESSERE PREMIATI

Infine dalla circolare di assegnazione del bonus emanata il 24 luglio 2017 a quattro giorni dalla scadenza delle richieste dei docenti, c’è anche scritto che il Ds ha valutato ”doveroso assegnare il bonus a un numero di docenti pari o fino ad undici che rappresenta la percentuale del 20% sul totale dell’organico dei docenti della scuola”.

Visto come certe scuole e certi dirigenti scolastici utilizzano il fondo accessorio del bonus del merito, commettendo errori che vengono stigmatizzati anche dal MIUR, allora sarebbe un bene che questi soldi contribuissero ad aumentare le già scarse risorse degli aumenti tabellari degli stipendi dei docenti.



Il “Buon senso” nella “Buona scuola”
 
 

di Ivan Cervesato, Educazione & Scuola, 16.10.2017

I tuoi educatori non possono essere

niente altro che i tuoi liberatori.
(
F. Nietzsche, Schopenhauer come educatore).

Datato 2 ottobre e in bell’evidenza sull’home page del sito web del Ministero dell’Istruzione: l’attenzione del Signor C., lettore curioso, è catturata dal comunicato-stampa, strumento tramite il quale l’Istituzione informa, con festosa solennità, delle proprie meritorie iniziative.

È quel singolare titolo ad attirare la sua attenzione: d’altro canto, i titoli non sono scelti proprio con questa finalità? Qui pienamente conseguita, perché il desiderio di saperne di più si fa immediatamente bruciante.

“Buon Senso”, al via progetto Miur-Laterza. Sperimentazione in nove scuole, studentesse e studenti a lezione di pensiero critico. Fedeli: “Iniziativa per le nuove generazioni che favorisce comprensione del mondo e cittadinanza attiva”. Laterza: “Buon senso è giusto equilibrio tra razionalità ed emotività, tra interessi immediati e di lungo periodo, tra idee generali ed esperienza individuale”.

Si tratta – lo si capisce subito – di un progetto che coinvolge il Miur, la casa editrice Laterza e la RAI (TGR RAI e RAI Cultura) e che si rivolge ai fortunati studenti di nove istituti scolastici italiani di tre città – Bari, Roma, Torino (almeno in questa prima fase “sperimentale”: nella prospettiva – si suppone – di una successiva estensione del progetto ad una più larga platea di meritevoli).

Il comunicato, impiegando l’efficace tecnica dell’in medias res, entra subito nel merito: l’obiettivo è quello di fornire a studentesse e studenti (il Signor C. è sempre ammirato dall’impeccabile uso ministeriale di sapienti espressioni “politicamente corrette”) gli strumenti per imparare a decodificare il flusso dell’informazione, aiutandoli a formarsi un’opinione corretta e completa sui temi di maggiore attualità e a comunicarla efficacemente. (…) Le studentesse e gli studenti saranno chiamati ad approfondire, di volta in volta, un argomento diverso. Si parte dal tema attuale e dibattuto dell’immigrazione. Con il sostegno di un docente-tutor, ragazze e ragazzi dovranno documentarsi, esercitare la capacità di risalire alle fonti originali, dovranno confrontarsi su posizioni diverse, sviluppando o potenziando le loro competenze logiche e dialettiche. Il progetto nasce dall’esigenza di strutturare e consolidare in studentesse e studenti le competenze per leggere la realtà che li circonda, formarsi una propria opinione e comunicarla efficacemente, sostenendo e sollecitando una loro più ampia partecipazione come cittadine e cittadini alla discussione pubblica. Ragazze e ragazzi partecipanti, alla fine del percorso, dovranno preparare un prodotto culturale, realizzando elaborati (saggi brevi, reportage, dibattiti, video o spettacoli teatrali) che saranno selezionati e valutati nell’ambito di un concorso dedicato.

Il comunicato prosegue rassicurante: al progetto parteciperanno numerosi “partner qualificati”, tra i quali spiccano la Banca d’Italia, la Gazzetta del Mezzogiorno e l’Istat. Non mancherà la disponibilità a sostenere l’iniziativa di esperti, personalità dello spettacolo e della comunicazione, tra i quali si trovano giornalisti, sociologi, scrittori, funzionari ministeriali, critici musicali, antropologi, ecc.

“Sono particolarmente soddisfatta di presentare oggi questo progetto che abbiamo fortemente voluto e che rappresenta un’offerta importante che facciamo alle scuole. Quelli proposti in questo progetto sono percorsi di cittadinanza attiva e consapevole per le nostre ragazze e i nostri ragazzi – ha dichiarato la Ministra Valeria Fedeli -. Con i partner dell’iniziativa stiamo prendendo un impegno significativo, stiamo condividendo la responsabilità di educare le nuove generazioni, di fornire loro strumenti e conoscenze per far sì che possano interpretare il mondo e comprendere i fenomeni e le questioni che interessano le società in cui viviamo. Società che sono sempre più complesse e globali, attraversate da mutamenti repentini. Questo schieramento di forze e di volontà è un chiaro esempio di cosa sia una forte alleanza educativa, di come si possa sostenere in maniera efficace e convinta le scuole nei loro percorsi formativi. Di come sia necessario il contributo di tutti, ciascuno per le proprie funzioni e per la propria parte di responsabilità. Un grazie, quindi, è doveroso ai partner e alle scuole partecipanti”, ha concluso la Ministra.

Sulle prime, un po’ stordito da tale spiegamento di forze, al Signor C. l’iniziativa di impartire “lezioni di pensiero critico” a “studentesse e studenti” appare meritoria (“Quanto bisogno c’è, di pensiero critico oggi!” esclama, subito pentendosi di avere impiegato espressioni recriminatorie, alla maniera degli anziani laudatores temporis acti). Peccato che di tale fortuna possano avvalersi solo gli studenti di nove scuole d’Italia, pensa.

Eppure, dopo appena qualche istante, alla mente del Signor C. si affaccia la sgradevole sensazione che qualcosa non quadri: il tarlo di un subitaneo dubbio comincia a farsi sentire.

Perché il Signor C., ora che ci pensa un po’ meglio, ha sempre creduto che il primo, fondamentale compito della Scuola (quella con la maiuscola e senza aggettivi) sia e sia sempre stato proprio quello di educare al pensiero critico. Ha sempre pensato che proprio questa sia l’essenza della Scuola (che poi l’apprendimento abbia una sua spendibilità nel mercato del lavoro è magnifico valore aggiunto, certo).

Il Signor C. è poi sempre stato convinto di un’altra cosa: che lo sviluppo di capacità di riflessione e di decodifica della complessità del mondo (“fornire loro strumenti e conoscenze per far sì che possano interpretare il mondo e comprendere i fenomeni e le questioni che interessano le società in cui viviamo”, secondo le belle espressioni scritte per il Ministro) dovrebbe costituire il fine e delineare la fisionomia di ogni insegnamento, di ogni educazione e di ogni istruzione (perché “educazione ed istruzione”? al Signor C. viene in mente la lezione gentiliana: istruire è eo ipso educare).

E allora – egli si dice –, un passo sulla via dell’educazione al pensiero critico sarà fatto quando, ad esempio, letta una pagina di Dante o di Leopardi, tu maestro ed io scolaro cercheremo insieme la Verità e in tale ricerca non saremo più distinti, ma saremo uno. Ecco ancora una volta tornargli alla mente il “vecchio” Gentile che, ne La riforma dell’educazione, scriveva: “il vero maestro è interno allo stesso animo dello scolaro, anzi è lo stesso scolaro nel dinamismo del suo sviluppo”, in un rapporto di “unità nello spirito” che non sacrifica l’educato all’educatore né l’educatore all’educato (è quello stesso Gentile che un tempo ricoprì la carica di Ministro della Pubblica Istruzione: il Signor C. lo sa, ma fa ugualmente una certa fatica mentale – chissà perché, forse l’età… – a porre in relazione presente e passato).

Ma l’educazione al pensiero critico, che è poi educazione sia alla verità, sia alla stessa libertà (esiste libertà che non sia vera? esiste verità che non sia libera?), passa allora per qualunque insegnamento – nessuno escluso – che aspiri ad essere vero, efficace, autentico. Lo studio della storia dell’arte, del pensiero filosofico, delle discipline tecnico-scientifiche, dei costrutti astratti delle matematiche, delle mutevoli vicende della storia umana, della musica, delle lingue e delle letterature: al Signor C. pare che nella Scuola ogni disciplina debba concorrere alla formazione della personalità dell’alunno, alla sua educazione al pensiero critico, senza che vi sia bisogno di alcun “progetto”, di “esperti”, di “partner qualificati”! (banche, gazzette, istituti di statistica…).

Perché se così non è – viene ancora da pensare al Signor C. –, se educare al pensiero critico necessita cioè di “specifici progetti”, peraltro affidati ad attori che si occupano di tutto fuorché di educazione, allora in primo luogo si sta dicendo: maestri e professori, in quanto incapaci di svolgere il vostro precipuo compito, siete degni di commissariamento (l’operazione gli pare d’altronde coerente con la sistematica svalutazione e mortificazione della funzione docente, perseguita con lucida costanza negli ultimi decenni, al di là di dichiarazioni di circostanza ad uso giornalistico, nella sostanza enfatiche e puramente retoriche).

Ma – si chiede il Signor C. che si sente invadere da un sentimento di leggero sgomento – lungo questa china non si giunge alla certificazione della morte stessa della Scuola, al riconoscimento esplicito, ufficiale, della sua sostanziale scomparsa, almeno nelle forme che sono state disegnate da una millenaria tradizione?

Se è così, allora è giunta l’ora del Tramonto di una certa idea di Scuola: evento a suo modo grandioso, come grandioso è il Tramonto di ogni grande struttura di pensiero, come la fine di ogni grande civiltà. E la luce del Tramonto, riconosciuto come tale, riesce forse a rischiarare, a illuminare di significato processi altrimenti interpretabili con difficoltà: ecco che nell’ora dell’Occaso assume senso la sostituzione di “antichi” valori e contenuti con pure procedure formali, definite esclusivamente in termini di praticabilità tecnica, con le quali si tenta (peraltro inutilmente) di rispondere all’ “emergenza educativa” di cui tutti parlano.

È forse questo processo di desertificazione – pensa il Signor C. – a rendere necessario il disperato tentativo di supplire alla carenza di legittimazione della Scuola (ma egli sospetta che il processo sia più generale ed investa l’intera società occidentale) sostituendo l’educazione con un lungo elenco di educazioni, di progetti (appunto) o di attività le più svariate (al Signor C. viene in mente l’ultima arrivata: la cosiddetta alternanza scuola-lavoro, di taglio ottocentesco ma spacciata per formidabile conquista di moderna ed efficiente civiltà).

Ed è questa scuola che, avendo rinunciato ad impiegare gli strumenti della cultura, li ha sostituiti con interminabili discussioni su competenze e metodo (l’ossessione metodologica, incapace di capire che non è il maestro ad avere bisogno del metodo, ma semmai il metodo ad avere bisogno del maestro!). È questa scuola che finisce per non assolvere più ad alcuna reale funzione educativa, pur restando paradossalmente invischiata in infinite discussioni sul merito (degli studenti anzitutto, ma oggi anche dei professori e, in misura molto più marginale, dei presidi): in fondo, discussioni accademiche ed astratte, in quanto condotte entro il perimetro di una realtà strutturalmente incapace di riconoscere e promuovere i migliori.

Ma allora, si chiede il Signor C., quanto deve preoccuparsi una scuola nella quale serve un “progetto” (peraltro affidato con soddisfatta enfasi a chi di istruzione si occupa al più nel tempo libero: a turisti della didattica e della pedagogia…) per educare i propri studenti ad esercitare la capacità di risalire alle fonti originali, a confrontarsi su posizioni diverse, sviluppando o potenziando le competenze logiche e dialettiche?

Quanto deve preoccuparsi una scuola che necessita di una “progetto” per strutturare e consolidare in studentesse e studenti le competenze per leggere la realtà che li circonda, formarsi una propria opinione e comunicarla efficacemente?

Quanto deve preoccuparsi una scuola che non si pone più come obiettivo della propria quotidianità l’educazione alla cultura, al pensiero critico, alla verità e (dunque) alla libertà, ma il “buon senso”?

Si pensa davvero che i giovani debbano confrontarsi con gli innumerevoli “temi difficili” del pensiero, della società e dell’esistenza stessa facendo leva non già sul tentativo di risposta delle migliori menti che ci hanno preceduto, ma sulla categoria del “buon senso”? Questo è il traguardo cui secoli di riflessione filosofica e pedagogica hanno finito per condurre, nel XXI secolo?

Alla celebrazione di quello stesso “buon senso” (che al Signor C. sembra poi non differire molto dal “senso comune”), in base al quale il bambino – o il non-acculturato – ritiene che il Sole si muova attorno ad una Terra piatta? Quello stesso “buon senso” che proprio il percorso di istruzione-educazione deve intellettualmente sopraffare – e con quale sforzo! – per consentire alla fine la gioiosa comprensione di vette del pensiero quali la relatività einsteiniana, la metafisica hegeliana, l’arte di Picasso (così drammaticamente sprovviste di “buon senso”…). Si tratta di un passo avanti o non piuttosto di spaventoso regresso?

Il Signor C. è ormai invaso dai dubbi, dalle perplessità e persino da un senso di tristezza. La riflessione l’ha confuso.

Pensa, un po’ depresso: “Meglio spegnere il pc. Anzi: era meglio non accenderlo proprio e darsi invece a qualche buona lettura…”.

Poi però, quando meno se lo aspetta, un pensiero felice gli si affaccia improvvisamente alla mente: la scuola frequentata da sua figlia non “sperimenta”.

Ed è con un sorriso che abbandona la scrivania.



La collaboratrice della Ds fa una nota disciplinare alla docente
 

Lucio Ficara, La Tecnica della scuola  15.10.2017

L’insegnante dopo avere constatato che gli alunni dell’ultima ora sono tutti assenti , non avendo ricevuto disposizioni di supplire colleghi assenti, alle 12 e 30 decide di lasciare la scuola. Il suo comportamento è stato appuntato con una nota sul registro di classe da parte della collaboratrice della DS.

La notizia è di quelle da non credere. Abbiamo verificato e constatato che una collaboratrice di una Ds ha realmente fatto la nota sul registro di classe ad una sua collega.

 

Si tratta di un caso che ha veramente del paradossale e che fa comprendere il clima di ostilità che si respira oggi in quasi tutte le scuole italiane. Per entrare nello specifico del racconto di questo increscioso caso, diciamo che si tratta di una docente che alle ore 12 si era presentata nella sua classe per fare la quinta ora di lezione. Arrivata in classe, constatata l’assenza di tutti gli alunni, non essendo stata impegnata in attività di supplenza in altra classe, alle ore 12,25 prende la decisione di uscire da scuola in quanto era terminata la sua attività di insegnamento. Ebbene la responsabile del plesso, facente parte dello staff di direzione della Ds dell’Istituto di Istruzione Superiore in cui è accaduto il fatto, non appena ha appurato che la docente si era allontanata da scuola, ha preso il registro di classe cartaceo ed ha così scritto:

Per la Dirigente: alle ore 12,27 l’insegnante XXXXXXX lascia la scuola senza ufficializzare l’uscita. La Responsabile di Plesso Prof. XXXXXXX “.

In buona sostanza la collaboratrice della Ds ha agito in modo illegittimo, perché ha fatto un richiamo scritto senza averne l’autorità. Anche la Ds in prima persona non avrebbe potuto fare un richiamo scritto di questo tipo sul registro di classe, mettendo la docente nell’imbarazzante situazione di essere oggetto dei commenti di colleghi e studenti. Inoltre c’è da precisare che la docente non ha commesso nessuna irregolarità lasciando la scuola dopo quasi mezz’ora dall’avere constatato che non poteva svolgere, per l’assenza di tutta la classe, la sua ora di lezione. Infatti come abbiamo già spiegato in un altro articolo, il docente che si trova in servizio, constatata l’impossibilità di effettuare la sua ora di lezione per l’assenza di tutti gli alunni della classe, essendosi accertato che non gli siano state assegnate supplenze da fare per la sostituzione di colleghi assenti, se non ha avuto assegnate ore di supplenza corrispondenti al suo orario di servizio, non avendo altri obblighi di servizio, potrebbe anche decidere, legittimamente, di uscire da scuola.

La nota scritta dalla collaboratrice della Ds è del tutto gratuita e anche lesiva della dignità professionale del docente, infatti è stato commesso un grave errore procedurale, perché scrivere una cosa del genere su un documento pubblico, che è nella disponibilità del personale scolastico e anche degli alunni, non è assolutamente legittimo. Semmai ci fosse stato un comportamento sbagliato da parte della docente, il Dirigente Scolastico, e non certo una sua collaboratrice, avrebbe potuto fare un avvertimento scritto in forma strettamente riservata. Nell’era della buona Scuola succede anche questo e se non si sta attenti, non sappiamo dove si potrebbe andare a finire.


Bonus premiale, la Ds crea la classifica a punti dei docenti

Lucio Ficara,  La Tecnica della scuola  19.9.2017

Il bonus del merito, introdotto dal comma 126 dell’art.1 della legge 107/2015, ha generato non poche perplessità. Ma adesso arriva anche la classifica a punti dei docenti.

 
La notizia è di carattere pubblico in quanto una dirigente scolastica messinese ha deciso di pubblicare una vera e propria classifica a punti dei suoi docenti premiati.
 
In buona sostanza la dirigente scolastica ha pubblicato, lo scorso 12 settembre 2017, il decreto per l’assegnazione del bonus premiale. Lo ha fatto sulla base del comma 127 dell’art.1 della legge 107/2015.
 
La cosa che ha destato scalpore, soprattutto tra gli stessi docenti di quel liceo, è stato vedere pubblicata una classifica del merito dei vari docenti.
 
Sulla base dei criteri stabiliti dal Comitato di valutazione di questa scuola, ai fini dell’individuazione del numero di docenti da premiare, è stato fatto il calcolo del 30 % dell’organico.
 
Sulla scorta di tale calcolo, così è scritto nel decreto dirigenziale di assegnazione del bonus premiale, secondo la classifica derivante dai punteggi loro attribuiti, risultano destinatari del bonus n.34 docenti, comprensivi degli ex equo, in esecuzione di quanto previsto dal Comitato di valutazione il quale, nei criteri deliberati, ha stabilito di includere anche i docenti che hanno riportato un punteggio uguale a quello dell’ultimo classificatosi in posizione utile.
 
Nel decreto è allegata la classifica dei 34 docenti con tanto di cognome, nome e punteggio riconosciuto. Inutile dire che il primo classificato è il collaboratore della dirigente scolastica con ben 28 punti, ma quello che è più triste, è stato vedere, in fondo alla classifica, il nome di un docente che è arrivato “ultimo” con soli 8 punti.
 
Ebbene, adesso tutti possono vedere, anche gli alunni e le famiglie, la classifica dei docenti di questa scuola, quasi fosse un campionato di calcio dove c’è chi vince e chi arriva ultimo.
 
Ci viene chiesto se era necessario pubblicare questa classifica o, se invece, si sarebbe potuto evitare di mettere pubblici i nomi, cognomi e i punteggi riferiti alla loro professionalità.
 
Ebbe in merito alla pubblicazione dei premi per i singoli docentiè opportuno fare riferimento al D.Lgs.33/2013 come aggiornato da D.Lgs. 971/2016, in vigore dal 23 giugno 2016, all’art. 20, comma 1 e comma 2, in cui si evidenzia che: “Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati relativi all’ammontare complessivo dei premi collegati alla performance stanziati e l’ammontare dei premi effettivamente distribuiti“. “Le pubbliche amministrazioni pubblicano i criteri definiti nei sistemi di misurazione e valutazione della performance per l’assegnazione del trattamento accessorioe i dati relativi alla sua distribuzione, in forma aggregata, al fine di dare conto del livello di selettività utilizzato nella distribuzione dei premi e degli incentivi, nonché i dati relativi al grado di differenziazione nell’utilizzo della premialità sia per i dirigenti sia per i dipendenti”.
 
Quanto suddetto è quello che dice la legge sulla pubblicazione dei dati relativi alle somme premiali, ma evidentemente a Messina hanno pensato che i dati aggregati non interessavano a nessuno, mentre la classifica con i nomi dei colleghi sarebbe stata gradita da tutti. Invece la cosa, a quanto pare, non è stata per nulla apprezzata e le lamentele sarebbero state poste anche all’USR Sicilia.



Assegnazione docenti ai posti e alle classi, rischio Far West
 Lucio Ficara, La Tecnica della scuola, 27.8.2017

Alcuni insegnanti ci raccontano che i dirigenti scolastici delle loro scuole avrebbero deciso di fare delle originali assegnazioni dei docenti ai posti e alle classi.

Si tratta di decisioni unilaterali del Ds, che non troverebbero corrispondenza, anche perché non potrebbero legittimamente trovarla, con i criteri di assegnazione decisi dai Consigli di Istituto. In buona sostanza il dirigente scolastico di un Istituto d’Istruzione Superiore in cui c’è un ITIS e un Liceo Scientifico avrebbe intenzione di spostare il docente titolare della classe di concorso A027 di matematica e fisica, per mandarlo ad insegnare nella classe di concorso A026 di matematica all’ITIS; In un Istituto Comprensivo un docente di scuola secondaria di primo grado di inglese gli è stato prospettato un posto di potenziamento per l’insegnamento dell’inglese alla primaria.

In un altro Istituto d’Istruzione superiore con sezione associata in altro comune, il dirigente scolastico avrebbe informalmente avvisato che dall’anno scolastico 2017/2018, per i poteri conferiti dalla legge 107/2015 e per il codice unico meccanografico, sarà sua prerogativa assegnare i docenti alla sede associata ubicata in altro comune.

Tutti gli esempi su esposti di assegnazione dei docenti ai plessi, anche quelli fuori comune di titolarità, di assegnazione alle classi e ai posti, sono da considerarsi fuori dalle norme e quindi presumibilmente illegittimi.

Infatti il dirigente scolastico può, in virtù del codice unico di una istituzione scolastica ubicata nello stesso comune, assegnare il docente in un indirizzo scolastico piuttosto che in un altro, ma nel rispetto della classe di concorso di titolarità. Quindi dovrebbe essere illegittimo utilizzare il docente titolare nella classe di concorso A027 di matematica e fisica in un altro indirizzo dove questa classe di concorso non è contemplata, come per altro non si potrebbe utilizzare il titolare della classe di concorso A011 di italiano e latino esistente nei licei scientifici nella classe di concorso A012 esistente negli istituti tecnici.

Quanto suddetto è quello che potrebbe capitare negli Istituti di Istruzione Superiore dove convivono sotto lo stesso codice meccanografico licei e istituti tecnici o professionali.

Su questo tipo di assegnazioni, se dovesse intervenire un giudice del lavoro, siamo convinti che andrebbe a considerarle del tutto illegittime. Altra cosa è assegnare un docente di scienze motorie A048 di un liceo all’Istituto Tecnico o Professionale con unico codice meccanografico, perché sarebbe un’assegnazione sulla stessa classe di concorso.

Per quanto riguarda gli Istituti di Istruzione Superiore con sezione associata in altro comune, non è assolutamente vero che esiste la discrezionalità del Ds nell’assegnare i docenti titolari nella sezione associata anche se il codice meccanografico è unico. Infatti leggendo attentamente il comma 7 dell’art.3 del CCNI sulla mobilità dell’11 aprile 2017 si comprende che pur restando ferme le prerogative dei Dirigenti scolastici e degli organi collegiali relative all’assegnazione dei docenti alle classi e alle attività, i posti di un’autonomia scolastica situati in sedi ubicate in comuni diversi rispetto a quello sede di organico sono assegnati, nel limite delle disponibilità destinate ai movimenti, secondo le modalità e i criteri definiti dalla contrattazione di istituto. La contrattazione dovrà concludersi in tempi utili per il regolare avvio dell’anno scolastico all’1/9/2017. Sono comunque salvaguardate le precedenze di cui al successivo articolo 13.

In buona sostanza l’assegnazione dei docenti ai posti, alle classi e alle sezioni associate è a rischio Far west, ci sarà molto da fare per i tribunali del lavoro.


Invalsi: costa quasi 22 milioni di euro, ma sono i docenti che devono somministrare e correggere i test

di Marco Barone, Orizzonte Scuola,  7.7.2017

In Italia si parla sempre degli Enti inutili da chiudere, uno di questi è certamente l’INVALSI. Ente che avrebbe scopi chiari ed enormi da perseguire ma che non ha il personale a sufficienza per perseguirlo.

 
Nei bilanci dell’INVALSI si continua a leggere che “la pianta organica già assegnata all’Istituto con DPCM del 22/01/2013, è del tutto insufficiente per adempiere alle nuove funzioni che la legge assegna all’INVALSI. È dunque importante rimarcare come il fabbisogno così quantificato e articolato non sia in alcun modo il frutto di un aumento delle esigenze di personale a parità di funzioni quanto la conseguenza delle nuove importanti funzioni istituzionali assegnate all’Istituto dal Regolamento sul sistema nazionale di valutazione (DPR n. 80/2013) che è stato concretamente avviato a partire dall’a.s. 2014-2015 con la Direttiva ministeriale 18 settembre 2014, n. 11.” Ad oggi risulta una pianta organica con 29 lavoratori e con una vacanza di 13 figure.
 
Il funzionamento annuo a regime dell’INVALSI richiede un finanziamento complessivo pari a 21.840.000,00 euro di cui 15.960,00 per il proprio funzionamento ordinario e la realizzazione delle attività istituzionali e di 5.880.000,00 per la realizzazione delle attività di ricerca. Il canone annuo di locazione per la sede corrisponde all’importo di euro 327.979,29 .
 
Una macchina costosa, che opera spesso con incarichi e collaborazioni esterne, che ricorre a diverse assegnazioni di progetti ecc, basta pensare che l’affidamento del servizio di editing, stampa, allestimento dei materiali relativi alle prove da somministrare in sede di esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione per l’anno scolastico 2016/2017 costa circa 205 mila euro. Ente inutile perché oltre a non avere l’organico a sufficienza per svolgere le proprie funzioni, con la solita furbizia all’italiana, cosa ha deciso il nostro democratico Stato, rispettoso dei diritti dei lavoratori? Di scaricare, in modo illegittimo, tutte le incombenze relative alla somministrazione, correzione, tabulazione di quelle ultra-contestate prove, al personale scolastico, che lavora gratis per svolgere attività che non dovrebbero certamente svolgere costoro. Guardando alle temute valutazioni esterne di cui tanto si è parlato e discusso nelle nostre scuole, quale la situazione reale?
 
Quante sono quelle effettivamente possibili da conseguire con la situazione attuale? Si legge nel sito dell’Invalsi che “il dimensionamento delle spese connesse al funzionamento, a regime, del SNV fa comunque riferimento ad un’attività di circa 800/900 valutazioni esterne, per anno, di singole istituzioni scolastiche, per la quale si possono prevedere due diverse strutture organizzative:1) Team a tempo pieno: 75 team che svolgono 10 – 15visite su singole scuole in un anno (soluzione preferibile); in subordine:2) Team a tempo parziale: 200-350 team che svolgono 4- 5 visite in un anno. E noi ci riteniamo un Paese serio?
 
Stiamo parlando del nulla in un Paese che conta oltre 33 mila edifici scolastici e con oltre 8 mila istituzioni scolastiche. Un Paese serio, appunto, si dovrebbe non più interrogare sul senso dell’INVALSI, ma dopo oltre dieci anni di tentativi riusciti in cattivo modo, attivarsi per chiudere questa pagina inutile che continua a creare continui contenziosi e malumori e contrasti nel mondo dell’istruzione italiana, e destinare quelle risorse al miglioramento complessivo dell’istruzione pubblica italiana che continua a lamentare significative sofferenze.


Caso Niscemi e recupero giorni in luglio: quando la burocrazia diventa patologica

Anna Maria Bellesia, La Tecnica della scuola, 27.6.2017

Molti dicono che è una questione di “burocrazia”. Ma non è così pacifico e così ovvio che si possano recuperare 5 giorni di lezione a luglio.

 
Premesso che, per poter esprimere un parere sul caso specifico, bisogna conoscere la relativa documentazione e che nessun giornale finora ha pubblicato qualcosa di preciso nel merito della spigolosa vicenda, tuttavia si può porsi in generale il problema. È possibile?
 
Mettiamo che, nel corso dell’anno scolastico, si perdano dei giorni di lezione, scendendo sotto il limite dei 200 obbligatori, per “cause di forza maggiore”, quali una calamità naturale con chiusura della scuola o disservizi tali da non poter erogare un servizio continuativo, come nel caso del freddo dovuto a malfunzionamento dell’impianto termico.
 
Come regolarsi?
  1. Nel caso di eventi naturali importanti (alluvione, terremoto, nevicata) le scuole sono chiuse con ordinanza del sindaco e “al ricorrere di queste situazioni si deve ritenere che è fatta comunque salva la validità dell’anno scolastico” come spiega la Nota Miur n.1000/2012.
  2. Tuttavia le istituzioni scolastiche, in caso di prolungati periodi di sospensione dell’attività didattica, “potranno valutare, a norma dell’art. 5 del DPR 275/99 «in relazione alle esigenze derivanti dal Piano dell’offerta formativa», la necessità di procedere ad adattamenti del calendario scolastico finalizzati al recupero, anche parziale, dei giorni di lezioni non effettuati”, come puntualizza la stessa Nota Miur.
Se, a conti fatti, è necessario/opportuno recuperare alcuni giorni di scuola, questi vanno programmati e recuperati a tempo debito, con delibera motivata degli organi competenti, prima della fine delle lezioni e prima di procedere a scrutini ed esami, che chiudono definitivamente l’anno scolastico con la valutazione finale degli alunni.
 
Nel caso emblematico di Niscemi, l’ipotesi che si dovesse recuperare l’interruzione prolungata era nota dalla metà di febbraio. Perché allora non si è provveduto in tempo utile, magari inserendo nel calendario alcuni pomeriggi in più?
 
Ma se il recupero non è stato fatto in tempo utile, per motivi che non sappiamo, ha senso mettere il recupero in luglio, finite le lezioni, espletati gli scrutini e svolti pure gli esami di maturità?
 
La bussola orientativa ci è fornita ancora una volta dalla Nota Miur di cui sopra, firmata dal direttore generale Carmela Palumbo: “In buona sostanza le decisioni delle scuole dovranno avere a riferimento da un lato l’esigenza di consentire agli alunni il pieno conseguimento degli obiettivi di apprendimento propri dei curricoli scolastici e, dall’altro, quella di permettere agli insegnanti di disporre degli adeguati elementi di valutazione degli apprendimenti e del comportamento degli studenti, secondo quanto previsto dagli artt. 2 e 14 del D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122”.
 
L’eventuale decisione di un recupero va pertanto deliberata in tempo utile e ben motivata, con riferimento alle esigenze derivanti dal Piano dell’offerta formativa, agli obiettivi di apprendimento e alla necessità di una valutazione adeguata. Non può essere un fatto puramente aritmetico di numero di ore da passare sui banchi. Tanto più se la valutazione finale si è conclusa e non ha registrato impedimenti. Cui prodest allora tornare in aula in luglio?
 
Qualcuno potrebbe obiettare che il mancato recupero delle frazioni orarie ridotte ha comportato un danno erariale, perché ai docenti gli stipendi sono stati erogati per intero. Ma, anche in questo caso, non bisognava pensarci prima? Se la prestazione di lavoro era dovuta, andava richiesta in tempo utile, secondo modalità rispettose dei criteri normativi stabiliti e sempre nell’interesse dell’utenza. Una  soluzione sensata, volendo, si trova.
 
Non si tratta dunque di una questione di burocrazia, ma di patologia della burocrazia cha fa male alla scuola, perché le norme in sé sono sempre finalizzate al rispetto dei criteri di efficienza, efficacia e legalità, hanno insomma una ratio, che nella soluzione messa in atto a Niscemi si stenta ad intravedere.


Pacchi di carte e registri online: la Madia ha bloccato la scuola

di Michele Di Lollo, il Giornale, 6.6.2017

I docenti sono sommersi da una mole di lavoro che prevede anche pacchi di carta mandati al macero: la riforma di fatto ha fallito.

È davvero questa la scuola del futuro? Si è parlato molto di quelle che potevano essere le potenzialità di una scuola semplice e smart così come desiderata dal ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia.

Purtroppo, ad un attenta analisi, c’è poco da festeggiare. A oggi ciò che resta, infatti, sono solo macerie e una classe di insegnanti sottopagata e demotivata. Soffermiamoci su quanto sia dannatamente difficile fare il professore di questi tempi. Non è nuova la notizia che nella pubblica amministrazione si verifichino problemi di burocrazia e assenza di trasparenza: se ne parla da decenni. È una notizia vecchia trita e ritrita che però non può essere ignorata.
È tempo di esami. A fine anno si effettuano i bilanci sui mesi appena trascorsi sui banchi e per migliaia di studenti è il momento di dare il massimo prima di un meritato riposo. E i professori? Che ne sarà di loro? Se infatti gli studenti sono pronti a lasciare le aule scolastiche per godersi la bella stagione divisi tra viaggi e spiaggia, quale sarà il destino di professori e professoresse resta un’incognita. Ma torniamo un attimo indietro. Pensiamo per un momento alle decine di carte e scartoffie che complicano la vita del docente e una riforma, quella Madia, che aveva l’ambizione di ridare slancio alla pubblica amministrazione, ma che purtroppo nel settore scuola ha fallito. Vi spieghiamo il perché. Partiamo dall’inizio. Da qualche anno è in uso alla classe docente il tanto desiderato registro elettronico che di suo, e spezzando una lancia per i suoi programmatori, non ha nulla di sbagliato. Funziona, va benissimo. Se non fosse per il fatto che l’elettronica, da sola, non è sufficiente a riformare un settore, come la PA, che sembra ancora dannatamente in ritardo con i tempi. E non è un caso che molti dirigenti scolastici abbiano optato per un duplice utilizzo di carta e software. Inevitabili gli sprechi e le difficoltà. Veniamo al punto. Tra scrutini, consigli di classe, relazioni finali e programmazioni c’è poco da stare sereni dal punto di vista dell’efficienza. Molto spesso accade che i “poveri” prof si ritrovino incasinati da matti, senza possibilità di operare in modo efficace. Se da una parte si legge (basta andare sui siti web dei registri online più utilizzati, ndr) che la scuola 2.0 così come voluta dalla Madia coniuga utilità e semplicità. Questo non avviene nelle sale professori dove, invece, circolari su circolari ricordano, senza tener conto della “semplificazione”, quanto sia complicato tirare le somme per l’anno appena concluso. Nello specifico, si tenga conto degli “adempimenti di fine anno scolastico” tra le inadeguatezze dell’apparato statale e le montagne di carta gettate al macero. Sono incredibilmente complessi. E tutti da consegnare in duplice copia: una cartacea, l’altra sul web. Così, per non farsi mancare niente. Il docente deve innanzitutto confrontarsi con una relazione finale disciplinare, una relazione finale di verifica, una relazione di presentazione della classe, programmi svolti. E questo è normale se non fosse che il lavoro viene raddoppiato, nonostante ore e ore di formazione per insegnare a utilizzare il pc. Giorni di lavoro buttati insomma in nome della buona scuola o di ciò che ne resta. E una domanda a questo punto sorge spontanea: che abbiamo fatto a fare la riforma digitale se poi tutto resta come prima? Un consiglio. Ragazzi, preparate pure gli zaini ma non siate cattivi. Non dimenticate di salutare educatamente i vostri professori. Per loro la scuola non è ancora finita.



La Buona Scuola? ATA dimenticati, banchi ancora con il calamaio, acqua del rubinetto ai bambini. Lettera

Lettera di Rita Belluzzi - pubblicata su orizzonte Scuola 18/05/2017
Sono in primis una mamma di una preadolescente, poi sono anche una collaboratrice scolastica. Scrivo per commentare due articoli:

Il primo il famigerato bonus docenti. Mi chiedo come mai, noi personale ATA, veniamo bypassati da tutti quei piccoli diritti che hanno i docenti: nessuno di noi chiede il riconoscimento di cattedre e/o tutto quello che riguarda il mondo “insegnamento”, ma se quella categoria ottiene dei piccoli privilegi per poter migliorare la propria qualità di vita inerente al mondo scolastico (bonus, entrate museo ecc…), perché noi veniamo considerati “figli di serie b?”

Eppure, essendo noi a contatto con gli alunni, dovremmo teoricamente avere dei corsi di aggiornamento…troppo spesso nel mio settore vedo personale “messo lì giusto per pulire”. Siamo una categoria formata ancora da una buona fetta di personale che non sa nemmeno relazionarsi con i genitori, non può permettersi di migliorarsi a spese proprie (spesso causa degli stipendi bassi, del tempo che non c’è perché ricordiamoci che noi abbiamo le ferie e basta, se la scuola chiude dobbiamo prenderci ferie, se ci sono ponti idem, se abbiamo un impegno pure idem…). Nessuno di noi va a rosicare un giorno delle proprie sudate ferie per andare a fare qualche corso, i musei li frequentiamo quando economicamente possiamo e il bonus atto a comprare materiale non lo abbiamo. Ho rivisto un’intervista che raccontava come doveva essere la buona scuola “digitalizzata, interattiva ecc”: NOTIZIONA! Ci sono scuole, classi, che hanno ancora i banchi blu con il buco del calamaio (mia figlia alla ***) che causano mal di schiena a causa della loro scomodità e altezza non adeguata; se non fosse per “l’esselunga” le lavagne ce le scorderemmo; quindi questa buona scuola in cosa è diventata “buona?”

Secondo argomento: ho letto una lettera sul bullismo dove molto condivido tranne una cosa: l’accusa ai videogiochi. NOTIZIONA… ho 48 anni e 36 anni fa ho subito per anni il bullismo; è una piaga che c’è e c’è sempre stata, che internet lo abbia trasformato lo vedo, che i genitori sono colpevoli di dare degli strumenti inadatti a menti giovani lo vedo (ragazzini di 10/12 anni già con lo smartphone lo trovo allucinante) che vengano accusati i videogiochi di questo mi pare un semplicismo e un modo tipo “scaricabarile” esagerato. La famiglia ha le sue colpe ma anche la scuola le ha…vedo troppo spesso bambini lasciati a loro stessi per quello che viene definito “intervallo lungo” (per esempio) dove gli insegnanti si fanno letteralmente i fatti loro, isolati col loro smartphone senza notare le dinamiche “bullistiche” che avvengono. Insegnanti di sostegno usati come supplenti (SUCCEDE SEMPRE) e messi lì a coprire un insegnate in una classe che non conoscono (ricordo che usare un insegnante di sostegno come supplente non si può…).

Chiudo dicendo che questa “buona scuola” va avanti solo perché sta tirando avanti la carretta, le scuole sono disastrate come e più di prima, inutili le segnalazioni e, se si fa qualcosa per della piccola restaurazione, la di fa solo “quando è successa la disgrazia”.
Io sono molto demotivata, non vedo nessun dialogo, anzi!

Non parliamo di ciò che mangiano i nostri figli, paghiamo una media di 5/6 euro a pasto (in giro ci sono locali che con 8 euro danno “primo secondo contorno bibita e caffè”) e bevono, tra l’altro, l’acqua del rubinetto che non ha nemmeno un minimo di filtro: eppure la legge del “pasto portato da casa” pareva passata ma tutto tace!


Tutte le le belve contenute nello zoo- documento del 15 maggio

Maria Sofia Rossi, il Sussidiario, 8.5.2017

Il rito scolastico sul quale 15mila docenti si stanno affannando in questi giorni è il fatidico “Documento del 15 maggio”. Ecco che cosa succede dietro le quinte.

“Mi hai mandato il programma per il Documento del 15 maggio? Sono stati messi i testi delle sSimulazioni nel Documento del 15 maggio?”
Questi sono gli interrogativi che, a voce, via Whatsapp o mail, si rimpallano gli insegnanti delle scuole superiori che hanno l’onore e l’onere di coordinare le classi quinte (anzi “classi terminali” come le chiama in modo eloquente, e pure un po’ sinistro, lo “scuolese”, cioè la branca del burocratese riguardante la scuola). Spieghiamo un po’ ai non addetti ai lavori la vicenda che sta impegnando, con frequenti crisi di nervi, qualche migliaio di docenti. Quanti? I conti sono presto fatti: mediamente ogni anno si diplomano dai 450mila ai 500mila studenti: una classe è composta in media dai 20 ai 25 studenti, quindi diciamo che ci sono dagli 8 ai 15mila docenti (scusate l’approssimazione e gli eventuali errori, ma chi scrive è una povera laureata in lettere, non un’esperta di statistica) coordinatori delle classi quinte affannati a compilare e assemblare il fatidico documento, che propriamente è “Documento del Consiglio di Classe”.

Ovvero, questo mappazzone, croce e delizia, tormento (tanto) ed estasi (pochina) dei professori, dovrebbe fornire tutte ma proprio tutte le informazioni sulla classe che si appresta ad affrontare l’esame di Stato, a beneficio dei commissari esterni e del presidente di commissione: e quindi, oltre ai programmi svolti nelle singole materie, il nostro documento deve contenere innanzitutto le informazioni generali sulla classe.

Quanti studenti sono in ritardo di uno o più anni sulla regolarità del percorso scolastico? La classe nasce dall’accorpamento di due sezioni? Ci sono studenti provenienti da altri istituti? Ma va segnalata anche la continuità didattica dei docenti (e cioè: questi poveri tapini hanno avuto sei insegnanti di matematica in cinque anni?, e così via). Sono tutti dati, come si capisce, che possono essere utili per farsi un’idea del gruppo di ragazzi con cui si avrà a che fare, e del presumibile livello di preparazione, ma che, nella prassi, solitamente, un coordinatore non sa, non ricorda, e in molti casi non sa dove andare a reperire, specialmente se conosce la classe solo dal quinto anno, cosa che non dovrebbe accadere, che i dirigenti, se appena possono, tendono a evitare, ma che spesso, date le massicce immissioni in ruolo tra fase zero, A, B, C, trasferimenti, assegnazioni provvisorie eccetera eccetera, è inevitabile.

L’effetto è noto: se non sono ben disponibili in segreteria i dati statistici sulle singole classi, il coordinatore debuttante si riduce a vagolare (in dialetto milanese si diceva “girà e pirlà”, con bel latinismo dal pirula “trottola”) nella disperazione, placcando i colleghi di lungo corso con domande tipo: “Ma eri tu a insegnare fisica due anni fa nella V C? Ti ricordi per caso chi avevano nel biennio di inglese? Ah, si sono alternati quattro supplenti? Ti ricordi per caso i nomi?”.

Mi obietterete: ma non ci sono i verbali dei consigli di classe degli anni precedenti? Di solito all’inizio delle pagine riservate alla compilazione annuale c’è una bella tabella da completarsi alla prima riunione, in ottobre, con nome e cognome e materia di tutti gli insegnanti. Vero. Ma qualche volta non viene compilata. O non viene aggiornata. E allora? In qualche scuola il vicario del dirigente (sì, insomma, il vicepreside, per intenderci) in aggiunta alla mole di incombenze, se proprio ha ambizioni da kamikaze, oppure un prof collaboratore — meritorio — di presidenza (o un volontario, diciamo pure un Cireneo) si accolla l’ingrato compito di controllare tutta la documentazione prodotta dai colleghi, col risultato — provare per credere — di smazzarsi un lavoro antipaticissimo, improbo e retribuito con l’equivalente di una mancia, oltre che di essere considerato come il rompiscatole, “l’amico del preside” (sic), una specie di crumiro, un collaborazionista schifoso.

Risultato: quando il tapino interpella un collega (perchè manca una firma, o è incompleto un documento della miriade prodotta dai consigli di classe), se tutto va bene, quest’ultimo alza gli occhi al cielo e impreca fra sé e sé, e il tizio viene evitato e anzi proprio scansato nei corridoi come il protagonista della Patente. Salvo poi essere destinatario di un pensiero — fuggevole, eh!, non illudetevi — pieno di gratitudine quando il compilatore del Documento del 15 maggio si accorge, magia! di avere stranamente tutti i dati corretti e completi. Se ciò non si verifica, si chiede agli studenti una mano per compilare questa sezione: ce n’è sempre almeno uno che, presente fin dalla prima, funge un po’ da memoria storica della classe.

Archiviata questa prima fatica improba, arriva la sezione più succulenta: i programmi svolti al 15 maggio (con qualche indicazione su quel che si prevede di fare negli ultimi venti-venticinque giorni di scuola). E qui si apre il delirio. Prima di tutto, perché non c’è mai verso di farsi mandare il programma per tempo da tutti i colleghi. E, si noti, per una singolare forma di schizofrenia degna della Strana storia del Dottor Jeckyll e Mr. Hyde, il professore che, da coordinatore di quinta, si inacidisce nelle continue sollecitazioni ai colleghi, di solito ritarda a mandare il suo programma svolto in un’altra classe, magari parallela a quella coordinata. Quando poi ottiene l’agognato file, orrore! Non c’è mai verso di avere una facies comune a dieci-dodici elaborati di persone diverse. Quot capita, tot sententiae, dicevano i nostri padri antichi: quante teste, tanti pareri (o, come si dice a Bergamo e dintorni: “tate cò, tate crape”, e scusate l’assenza di scriptio fonetica): ma qui si esagera. Soprattutto perché non si parla solo di uniformazione grafica, che sarebbe il meno, ma di impostazione mentale. Non dimentichiamo che uno degli scopi del documento è rendere agevole il lavoro al commissario esterno, il cui compito non è affatto torchiare o mettere in imbarazzo lo studente, già comprensibilmente agitato di suo, snidando le sue lacune sulle minuzie del programma e sulle noticine del manuale, ma di valorizzare il lavoro fatto dallo studente e saggiarne la preparazione e pure la maturazione complessiva. Punto.

Dinanzi a questa esigenza, formulata con inoppugnabile e quasi cartesiana chiarezza e distinzione, troviamo diverse forme di risposta, a seconda della forma mentis del collega di turno. Possiamo quindi distinguere:

  1. L’evasivo (detto anche “lo sciallo”): il suo programma è semplice semplice, lineare… sin troppo, e getta così nel profondo imbarazzo chi se ne deve servire come linea-guida per interrogare gli studenti. Esempi? Immaginate un programma di storia in cui trovate, a mo’ di elenco puntato, una serie di argomenti così precisati (si fa per dire): La prima guerra mondiale; Il fascismo; L’avvento del nazismo; La guerra civile spagnola; Gli anni trenta in Europa e Usa; La seconda guerra mondiale; L’Olocausto; Il secondo dopoguerra in Italia. Di fatto, tutto e niente. E io come faccio a sapere che cosa sia stato trattato nel dettaglio del fascismo? La Carta del lavoro? Le opere di bonifica delle paludi pontine? Un programma del genere si scrive in 5 minuti, e tanta vaghezza è in primo luogo criminale per gli studenti, perché, non per malvagità del commissario esterno, che spesso fa solo del suo meglio o del meno peggio, essi sono, di fatto, abbandonati all’alea.
    Idem per italiano: menzione d’onore (e contestuale candidatura al Premio Ignobel), a chi scrive un programma così articolato (ce n’è, ce n’è, io li ho visti): Pirandello: Vita e Opere; Il fu Mattia Pascal, Novelle per Anno, Uno nessuno e centomila. Ciò significa che, in teoria, io sto dando mandato al commissario esterno di interrogare i miei studenti su tutto Pirandello, e in particolare, su due romanzi in forma integrale e tutte le novelle? Boh. In questo caso, sempre meglio chiedere con garbo all’esaminando: “Parti da un testo di Pirandello che avete analizzato in classe”: almeno non si rischia di procurare un infarto al povero incolpevole.
  2. Il nemico di Occam, ovvero l’innamorato della complessità, per il quale la parola “semplificare” equivale a una bestemmia: parente stretto del “benaltrista”, di cui parlammo in altra occasione. I suoi programmi sono sempre completissimi e complicatissimi, per ogni autore toccato presentano letture di testi rari, peregrini, che esulano dalle consuete scelte antologiche, inseriti in contesti e percorsi complicatissimi. Gli studenti, nove volte su dieci, interrogati sul perché sia stato letto un certo qual testo, o perché si sia affrontato un certo autore, danno risposte spezzate e confuse. Ma, come diceva una mia tutor in Ssis, che ci vuole a “finire un programma”, ossessione che, mutatis mutandis, sembra ancora oggi il primo fattore che affligge tanti professori, se, una volta messa la parola “fine” alla spiegazione, ci si rende conto, dopo cotanta cavalcata nei secoli, che si è spiegato perché innamorati della propria voce, mentre alla classe è rimasto ben poco?
  3. Il micragnoso. Anche questa è una tipologia che abbiamo già visto a proposito degli scrutini. Con il Documento del 15 Maggio però si scatena: di solito, infatti, è uno specialista in qualche particolare ambito, e, con la massima buona fede, presenta dei programmi precisi al micron: se ha letto gli Epigrammi di Callimaco, aggiunge l’edizione di riferimento, dei testi di italiano edizione e righe (non sia mai che il taglio antologico non coincida con quello familiare al commissario esterno): ogni testo è contestualizzato e parafrasato… insomma, di una pedanteria insopportabile.
  4. Il rimessista, quale di fatto diventa ogni insegnante dotato di un po’ di buonsenso e di esperienza. Il Documento del 15 maggio deve essere uno strumento utile e di facile consultazione, non un pour parler compilato alla meno peggio per puro obbligo burocratico, nè lo sfoggio di quanto è bravo e quanto è dotto e colto il professor taldeitali, con il malaugurato, e quasi sempre, giustamente, fallimentare intento di impressionare gli esterni per “quanto si lavora bene nella nostra scuola”. Per cui, a costo di voler giocare di rimessa, meglio essere chiari: per ogni argomento di storia o di latino, il “rimessista” segnalerà anche i testi letti, e magari anche la pagina, e una piccola, sinteticissima premessa, giusto per dare a studenti e commissari modo di partire dai realia e facilitare lo svolgimento del colloquio. Non sembrerà una classe di piccoli filologi o di aspiranti campionicini alle Olimpiadi di matematica? Ma che importa.
    Naturalmente, il Documento del 15 maggio dovrebbe contenere anche le simulazioni delle prove d’esame svolte nel corso dell’anno, i criteri di valutazione, le griglie di valutazione, eccetera… ma questo è un altro discorso.
 

Lo sciopero finto dell’ANP. Dirigenti o dipendenti, manager o burocrati, solo presidi?

inviata da Vincenzo Pascuzzi,  23.4.2017

“Non è che abbiamo sbagliato noi presidi a voler diventare dirigenti manager di una scuola-azienda di vaste dimensioni (altrimenti non ci avrebbero concesso la dirigenza), che non ci lascia il tempo per seguire i nostri ragazzi con tutti i problemi che oggi hanno? (…) E i nostri insegnanti che debbono sentirci vicini, che debbono poter contare su di noi per intraprendere un cammino di innovazione per il quale non si sentono preparati? ….”

 
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“È sbagliato dare tutto questo potere ai presidi perché non tutti sono all’altezza”
Andrea Camilleri, 16 marzo 2015
 
“Abbiamo la scuola peggiore d’Europa“
Curzio Maltese, 30 dicembre 2016
 
“L’insegnante è stato declassato a operaio della scuola”
Curzio Maltese, 21 aprile 2017
 
L’ANP è “il sindacato che più aveva appoggiato la legge 107” rivela o conferma il preside, o DS, Stefano Stefanel nell’articolo “Dirigenti o dipendenti” del 19 aprile 2017. In proposito, conviene anche ricordare che quattro DS sottoscrissero e diffusero – era il 28 aprile 2015 – il documento titolato #iononsciopero, chiaramente per intimorire e scoraggiare la partecipazione allo sciopero del 5 maggio 2015. Mentre anche alcuni DS testimoniano ora: “Troppo lavoro e mal pagato. La Buona Scuola non piace a nessuno, è diventata un boomerang!”
 
Stefanel riferisce la nascita della “turbolenza nel mondo della dirigenza scolastica, che quella legge [sempre la 107 appena citata] l’aveva fortemente appoggiata”. La causa del malcontento e della protesta dei DS consiste(rebbe) nella contrarietà alla “valutazione dei dirigenti scolastici con ricaduta su carriera e retribuzione di risultato”.
 
Dall’inizio di aprile, anche se forse pochi lo sanno e se non si vedono gli effetti, i DS dell’ANP sono in agitazione e stanno attuando 6 azioni di protesta riassunte in una loro tabella. Il loro Consiglio Nazionale, riunitosi in data 1 e 2 aprile, aveva denunciato l’inversione di marcia governativa testimoniata dall’intesa politica del 30.11.2016 e dal successivo accordo del 29.12.2016 con i sindacati confederali; inversione finalizzata al recupero della contiguità tra Governo e sindacati di comparto, con conseguente messa in discussione del ruolo stesso del DS.
 
Le 6 iniziative di protesta ANP vengono analizzate criticamente e in dettaglio da Stefanel, che vuole segnalare la contraddizione, cioè “la difficile convivenza nella stessa persona [il DS] del concetto di ‘dirigenza’ e del concetto di ‘dipendenza’: i dirigenti per loro natura rappresentano lo Stato e sono chiamati a dare esecuzione a ciò che lo Stato stabilisce. I dipendenti invece per loro natura eseguono ciò che viene loro indicato da norme e contratti e hanno tutto il diritto di contrastare – entro regole stabilite – quanto il datore di lavoro (in questo caso lo Stato) ha definito a livello di indirizzi”.
 
La contraddizione segnalata da Stefanel appare reale. Però si deve aggiungere che una contraddizione simile, complementare o speculare può/potrebbe essere rinfacciata prima allo Stato, e in parte sono gli stessi DS a farlo, sia pure implicitamente: “se vuoi che io – DS – ti rappresenti, tu Stato devi darmi deleghe, risorse, poteri, retribuzione conseguenti, e se tu Stato non fai ciò, l’incoerenza è tua e io mi considero dipendente, di conseguenza libero di protestare e magari anche scioperare”.
 
Una seconda aggiunta è che la Dirigenza Scolastica è in buona parte invenzione forzata, fondata sull’equazione o eguaglianza impropria e fallace (o balorda) Scuola = Azienda, da cui anche l’altra Preside = Manager (*). La gerarchia preside-docenti è infatti tenue, debole, posticcia essendo – ancora – i docenti dei professionisti con libertà di insegnamento e sostanziale autonomia in didattica.
 
Nella scuola si possono individuare due filiere: quella didattica e quella burocratica-organizzativa (o a-didattica). È questa seconda che dovrebbe servire e supportare la prima, e che invece i governi e gli stessi DS cercano di rinforzare e consolidare (v. ambiti, chiamata diretta, bonus merito, asl, ptof, Invalsi, sicurezza, burocrazia varia, progetti, aggiornamento obbligatorio, nuove tecnologie, ….) e sulla quale giustificare e insediare il preside-manager o dirigente (magari domani ceo o top manager assistito da uno staff di 3 – per iniziare – middle-managers o CoDiS ) e poi è la denominazione enfatizzata che determina il ruolo (il contenitore che si cerca e si crea i contenuti)! O no?
 
Nel 2010, la Preside Annunziata Brandoni concludeva il suo libro “L’isola che non c’è? Alla ricerca della scuola ideale” proponendo come riflessioni: “Non è che abbiamo sbagliato noi presidi a voler diventare dirigenti manager di una scuola-azienda di vaste dimensioni (altrimenti non ci avrebbero concesso la dirigenza), che non ci lascia il tempo per seguire i nostri ragazzi con tutti i problemi che oggi hanno? (…) E i nostri insegnanti che debbono sentirci vicini, che debbono poter contare su di noi per intraprendere un cammino di innovazione per il quale non si sentono preparati? ….” e “Non è che abbiamo sbagliato a chiedere un’autonomia che tale non è? Senza fondi sufficienti, infatti, non puoi essere autonomo nelle scelte e devi dipendere da sponsor e donatori che comunque le condizionano. E sei sempre più invischiato nei lacci degli adempimenti burocratici. Non hai tempo per pensare. E neanche per rileggere quei testi di Pedagogia da cui trarre insegnamenti preziosi per realizzare una scuola a misura di tutti e di ciascuno”.
 
Malcontento e protesta dei DS sono determinati solo secondariamente dalla prospettata valutazione, l’obiettivo principale dei DS è l’equiparazione retributiva, cioè un aumento fa il 67% e il 103%. Scrive infatti Anief: “I dirigenti scolastici sono i peggio pagati tra tutti i dirigenti pubblici italiani: percepiscono in media 62.890 euro annui pari a oltre 42mila euro l’anno in meno rispetto a un dirigente amministrativo e neanche alla metà dei colleghi che operano presso gli enti pubblici non economici (127.606 euro l’anno)”. Sorgono però due questioni. La prima è se le retribuzioni prese come riferimento siano giuste (c’è chi ne dubita e contesta) e la seconda è se i DS abbiano davvero profili paragonabili a quelli rivendicati. Tanto per quantificare i costi, l’equiparazione retributiva di circa 8.000 DS richiederebbe risorse pari a 300/500 milioni di euro e i DS non sono mica …. militari (**).
 
Nel documento del 2.4.2017, l’ANP auto-proclama che “I dirigenti scolastici sono pienamente consapevoli del loro ruolo di garanti dell’interesse generale”, ma non risulta indicata nessuna richiesta per affrontare i problemi e le criticità della scuola “peggiore d’Europa”: sicurezza e idoneità degli edifici, affollamento, dispersione scolastica, le condizioni dei minori in povertà assoluta (1,1 milioni) o relativa (2 milioni) documentata di recente da Save the Childen”, né la condizione retributiva dei docenti “declassati a operai della scuola” e degli ata che non è certo meno critica di quella dei DS. Nello stesso documento mancano anche richieste per il completamento urgente dell’organico degli stessi DS (ne mancheranno otre 2000 a settembre 2017), anche se viene prospettato il rifiuto ad accettare reggenze.
 
Tornando alla valutazione, quest’anno scolastico 2016/17 doveva essere l’anno della svolta: stipendi ai presidi in base alle pagelle attribuite dai nuclei di valutazione regionali e anche (remotissima) ipotesi di licenziamento per i “più somari”, ma tutto è saltato perché la macchina ministeriale è – al solito – partita in ritardo e i presidi sono in stato di agitazione. La valutazione non è gradita ai presidi, che pure la applicano volentieri ai docenti, se ne parlerà forse l’anno prossimo con un altro ministro o ministra.
 
All’inizio del suo articolo Stefano Stefanel registra semplicisticamente quella che – secondo lui – è stata la resa di docenti e sindacati a fronte della sostanziale validità, bontà, convenienza, gradimento o quasi della legge 107:
 
“Gli effetti della legge 107 …. sono stati assorbiti dai docenti in maniera estremamente veloce e sorprendente, e infatti le organizzazioni sindacali trovano molte difficoltà a far sposare forme di lotta massicce contro la legge e i suoi effetti” e “nel momento in cui il personale della scuola accetta gli esiti della legge, a suo tempo quasi unitariamente contestata”.
 
Le cose non stanno proprio così, all’inizio di questa nota infatti è riportata la citazione riferita ai DS: “La Buona Scuola non piace a nessuno, è diventata un boomerang!”. Bisognerà approfondire, confrontarsi e si cercherà l’occasione per farlo.
 
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(*) Era il 2000 e ricordo benissimo la preside di allora, di mezz’età e un po’ pingue che pure sculettava impettita (tesa tesa), compiaciuta e minacciosa nel sillabare di fronte al Collegio l’avvento del “preside-manager, signori miei!”.
 
(**) Il governo con un decreto legislativo vuole trasformare 10.000 ufficiali superiori in “dirigenti”, ai quali andrà il grosso degli aumenti retributivi generalizzati che costeranno 400 milioni in più ogni anno (senza contare gli aumenti per i Carabinieri e la Guardia di Finanza, oggetto di un altro decreto all’esame del Parlamento riguardante le forze di polizia).

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Alcuni link attinenti

 

Dirigenti o dipendenti

http://www.scuolaoggi.com/dirigenti-scolastici/2012-dirigenti-o-dipendenti

http://portal.sitecom.com/WLM-3600/v1001/upgrade/parent.php?lanIP=192.168.0.1&userRequest=www.pavonerisorse.it

http://www.andisblog.it/?p=723

 

Buona Scuola. #iononsciopero, c’è chi dice no al sindacato

http://www.vita.it/it/article/2015/04/28/iononsciopero-ce-chi-dice-no-al-sindacato/133943/

 

#iononsciopero contro La Buona Scuola: chi sono i prof che rilanciano la riforma di Renzi

http://it.blastingnews.com/lavoro/2015/05/iononsciopero-contro-la-buona-scuola-chi-sono-i-prof-che-rilanciano-la-riforma-di-renzi-00386927.html

 

No al 5 maggio: i dirigenti scolastici lanciano il movimento #iononsciopero

http://www.corriereuniv.it/cms/2015/04/no-al-5-maggio-i-dirigenti-scolastici-lanciano-il-movimento-iononsciopero/

 

La rivolta dei presidi: troppo lavoro mal pagato. La Buona Scuola è diventata un boomerang

http://www.gildavenezia.it/la-rivolta-dei-presidi-troppo-lavoro-mal-pagato-la-buona-scuola-e-diventata-un-boomerang/

 

Buonascuola: una riforma che non piace a nessuno!

http://www.tecnicadellascuola.it/item/29295-buonascuola-una-riforma-che-non-piace-a-nessuno.html

 

Documento d’indirizzo del Consiglio Nazionale ANP

http://www.anp.it/anp/doc/comunicato-2-aprile-2017-tivoli

 

Stato di agitazione dei dirigenti scolastici. Primo elenco delle azioni conseguenti

http://www.anp.it/filemanager/download/documenti/2017/statodiagitazioneaprile17/anp_proclamazionestatodiagitazionedirigentiscolastici_le_03899.pdf

 

Organizzazione protesta – istruzioni per l’uso

http://www.anp.it/anp/doc/organizzazione-protesta-_-istruzioni-per-l_uso

 

Asilo nido e mensa scolastica per tutti

https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/campagne/illuminiamo-il-futuro/petizione-asilo-nido-e-mensa-per-tutti

 

Fedeli: aumentare stipendi docenti. Anief: bene, servono 210 euro

http://www.orizzontescuola.it/fedeli-aumentare-stipendi-docenti-anief-bene-servono-210-euro/

 

“Se a scuola non c’è valutazione”

http://www.lavoce.info/archives/45647/se-a-scuola-non-ce-valutazione/

 

La fallita Buona Scuola e l’ingannevole “catena valutativa”

http://www.aetnascuola.it/la-fallita-buona-scuola-lingannevole-catena-valutativa/

 

Scuola, per quest’anno ai presidi niente stipendio in base al merito

http://www.repubblica.it/scuola/2017/04/13/news/scuola_stipendi_presidi-162915984/

 

Ciao ciao buona scuola: la valutazione dei presidi non avrà effetto sul loro stipendio

http://www.linkiesta.it/it/article/2017/04/14/ciao-ciao-buona-scuola-la-valutazione-dei-presidi-non-avra-effetto-sul/33869/

 

Esercito, il regalo ai vertici: aumenti per 400 milioni

http://www.ilfattoquotidiano.it/prima-pagina/esercito-il-regalo-ai-vertici-aumenti-per-400-milioni/

 

Lo Stato si appresta ad arruolare un esercito di dirigenti pubblici.

http://www.corriere.it/opinioni/17_aprile_11/decreto-miracoloso-diecimila-militari-saranno-dirigenti-29b79b22-1e00-11e7-a3e5-56b4898b2bcd.shtml

 

Arriva un regalo agli ufficiali: via agli aumenti di stipendio

http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/arriva-un-regalo-agli-ufficiali-via-agli-aumenti-di-stipendio/

 

La Ragioneria dello Stato ammette: personale della scuola più povero tra gli statali.

http://www.orizzontescuola.it/la-ragioneria-dello-stato-ammette-personale-della-scuola-piu-povero-tra-gli-statali-turi-e-emergenza-retributiva-bisogna-cambiare-rotta/

 

I ricorsi per la perequazione allo stato degli atti: un obbligo di onesta’

http://www.dirigentiscuola.org/ricorsi-la-perequazione-allo-degli-atti-un-obbligo-onesta/

 

Scuola, presidi, stop alle «pagelle» i nuovi premi slittano al 2018

http://www.ilmattino.it/primopiano/scuola_e_universita/scuola_riforma_pagelle_presidi_slittamento_2018-2383128.html

 

La quatriade sindacale “mobilita” i DS. L’ANP proclama lo stato di “agitazione”

http://www.governarelascuola.it/nuovo/index.php/il-dirigente-e-lo-staff/239-la-quatriade-sindacale-mobilita-i-ds-l-anp-proclama-lo-stato-di-agitazione-di-salvatore-indelicato


Scene da un collegio docenti, l’esilarante racconto di un insegnante

di Riccardo Lestini, Oggiscuola, 20.3.2017

Il più grande delirio organizzato dell’universo scolastico è il Collegio Docenti, ovvero quella riunione plenaria di tutto il corpo docente dell’Istituto che si tiene periodicamente nello spazio più ampio dell’edificio (aula magna, palestra o auditorium). La scenografia di solito è in stile teatro elisabettiano, ovvero tra l’ultra minimalista e il neutro assoluto, ma di grande impatto simbolico: pedana rialzata con tavolo lungo e rettangolare dove al centro siede il preside dotato di microfono che funziona, mentre alla destra e alla sinistra siedono il vicario e i più stretti collaboratori dotati di microfoni che a volte funzionano a volte no. Abbandonato in un angolo, il microfono “gelato” per gli interventi dei docenti, che non funziona mai. Alle loro spalle uno schermo che proietta le slides dell’ordine del giorno, le sintesi dei punti principali e i testi di importanti documenti da leggere, di solito riportati in corpo così minuscolo che anche l’ingrandimento sullo schermo li rende indecifrabili. Davanti, la platea dei docenti, abbandonati in seggiole – se si tratta di aula magna o palestra – disposte a suon di bestemmie da forzuti bidelli tra l’ultima ora e le quattordici e cinquanta.
 
Prima di tutto la firma della presenza. Da fare o nell’atrio o nel lungo tavolo rettangolare di cui sopra. Ci può essere un prestampato con tutti i nomi dei docenti e accanto lo spazio per apporre la firma (in questo caso durante l’operazione almeno in venti dicono “dove sono? Non mi trovo, non trovo il mio nome…”, e si consuma l’inevitabile dramma degli ultimi precari appena nominati che non figurano nell’elenco, e allora si devono aggiungere a penna), oppure un librone dove si deve scrivere in stampatello data, nome, cognome, orario – e specificare accanto ENTRATA – e poi accanto firmare (in questo caso almeno in cinquanta dicono “ma perché non mettiamo un prestampato?”). Terza variante, le scuole dotate di badge, anch’esse però sottoposte al rito della firma di presenza (e in questo caso, almeno in novanta dicono “ma ho appena strisciato il badge, perché devo firmare ancora?”). In ogni caso, durante questa operazione preliminare si formano sistematicamente code, ingorghi e rallentamenti da far invidia alla Salerno – Reggio Calabria, con tanto di furbetti che cercano di scavalcare la fila, polemiche, sgambetti, quello che ci mette un’ora a firmare e viene ricoperto di insulti, principi di rissa, tafferugli. Il risultato è che se l’orario d’inizio del Collegio era fissato per le quindici, alle quindici e quaranta ancora non è stata smaltita la fila delle firme. In casi estremi il tutto può durare anche un’ora e mezzo. E i casi estremi si verificano sempre quando il foglio delle firme non viene portato sul posto prima, ma alle quindici in punto, così da costringere gli “anticipatari” (ovvero quel manipolo di venti-venticinque docenti che, misteriosamente, arrivano al Collegio sempre in anticipo clamoroso, che in qualunque momento tu possa arrivare loro sono già lì) a firmare assieme a tutti gli altri.
 
Così, più o meno alle sedici, quando tutti hanno firmato e tutti si sono calmati, seduti e soprattutto predisposti al meglio per trascorrere in maniera proficua le ore successive (giocando con il telefono, chattando su Facebook, scambiandosi pettegolezzi sugli inciuci tra insegnanti, vomitando maldicenze sulla collega che, pare, si sia rifatta le tette, correggendo compiti, leggendo il giornale o semplicemente dormendo), il Collegio può finalmente avere inizio. Da circa centosedici anni il primo punto all’ordine del giorno è sempre lo stesso: le (micidiali) comunicazioni del preside, di durata variabile tra i venticinque e i centocinque minuti, il cui contenuto è però solitamente riassumibile in poche, pochissime parole (e più o meno sempre le stesse).
 
Le micidiali comunicazioni del preside tuttavia, quasi sempre sono micidiali non per la logorrea del dirigente. Al contrario, di solito, rispondono a un disegno preciso. Ovvero tirarla il più possibile per le lunghe con discorsi vaghi e inutili, ammorbare l’aria di lungaggini trascurabili, stordire i docenti e renderli, al momento dei punti all’ordine del giorno davvero importanti, completamente incapaci di intendere e di volere, disposti a votare qualsiasi abominio pur di finire in fretta e tornare a casa almeno per cena. Novantanove volte su cento, l’obiettivo viene raggiunto.
 
Anche il punto due è sempre lo stesso. Vale a dire l’approvazione del verbale della seduta precedente. Se il preside è in buona, se durante le sue micidiali comunicazioni nessuno lo ha interrotto con domande a suo avviso cretine, se sempre durante le sue micidiali comunicazioni ha sentito un silenzio che reputa soddisfacente, allora chiede: “il verbale della seduta precedente lo avete letto tutti?”; e tutti rispondono “sì!”, anche se non lo ha letto nessuno. “Approviamo?”, chiede ancora il dirigente. E tutti dicono “sì!” alzando la mano (alla collega Cristante, che dorme da oltre mezzora, la mano viene alzata dalla sua vicina di sedia; lei ha un sussulto, con la voce impastata e un occhio semiaperto biascica “che c’è?”; “niente, dormi”, taglia corto la vicina, e lei ripiomba nel sonno). In questo caso il punto due si liquida in tre minuti. Ma se il preside ha la luna storta, se lo hanno interrotto durante le sue micidiali comunicazioni, se ha sentito brusio e disattenzione, allora dice: “leggiamo il verbale”. E l’ultimo dei suoi collaboratori, dotato di un microfono che un po’ funziona e un po’ no, con la faccia verde prende un plico di sedici pagine e inizia a leggere con voce monocorde che ci arriva a scatti causa malfunzionamento dell’impianto audio. Durante la lettura, il delirio: in dieci vanno a pisciare, venti escono a fumare, altri venti si alzano e si spostano rumorosamente, tutti parlano, nessuno ascolta e il collega Falabella, che è un pervertito, ti arriva di colpo alle spalle facendo commenti sconci ad alta voce sulle colleghe più giovani. Il preside non interviene, ma alla fine della tortura chiude lapidario: “e poi non venite a lamentarvi”.
 
Alle diciassette e quaranta abbiamo così esaurito solo i primi due punti. Ne restano altri otto. A questo punto, il clan dei pendolari si risveglia di colpo e inizia a smaniare: “abbiamo il treno alle diciotto e venti, tra venti minuti ce ne andiamo, ne abbiamo diritto, la circolare diceva Collegio dalle 15 alle 18”. Al che il preside, senza nemmeno il microfono, ribatte: “abbiamo iniziato alle 16, si va avanti fino alle 19”. “Mica è colpa nostra se ancora ci fate firmare in cartaceo…”. Il dibattito va avanti per un po’, ma la maggior parte non sente niente perché tutto avviene senza microfono. È in questi momenti che Petazzi, il valoroso delegato sindacale, scuote la testa e dice “ecco cosa siamo diventati, una categoria che lotta solo per andare a casa prima”. Il valoroso delegato sindacale viene ricoperto di insulti e bestemmie e il Collegio va avanti.
 
Seguono discussioni e votazioni circa i lavori di varie commissioni: quella delle gite, quella degli alunni non italofoni, il progetto sulla dislessia, la festa di di fine anno. Ai vari punti parla e partecipa solo chi è costretto, inserito contro la sua volontà in qualche progetto a inizio anno che adesso, ancora più contro la sua volontà, è costretto a relazionare davanti a una platea sfinita, rumorosa e sempre più disattenta. In questi momenti i colleghi più pericolosi sono quelli che intervengono per partito preso, non perché devono né perché hanno da dire qualcosa ma perché devono mostrarsi sempre sul pezzo agli occhi del preside. Uno zelo che allunga discussioni e votazioni di altre mezzore.
 
Alle diciotto e trentanove l’intero corpo docente – eccezion fatta per la collega Cristante, che dorme dalle quindici e trenta, forse anche da prima – si risveglia di colpo. È il momento di discutere e votare il calendario del prossimo anno scolastico. Soprattutto di discutere e votare ponti e sospensioni didattiche varie, perciò tutti si rianimano, prendono posizione, si accapigliano, sgomitano per dire la propria. “Il ponte mettiamolo a novembre”, “No, a febbraio per carnevale” “Ma che ve ne fate di un ponte in inverno?” “Ho la casa in montagna, posso andare a sciare una buona volta sì o no?” “E a me che cazzo me ne frega? Qui la maggioranza può andare al mare, non in montagna, perciò facciamo il trenino venticinque aprile-primo maggio e basta”. Noi, laddove per noi si intende un manipolo di docenti di sinistra-sinistra, ovvero i puri e duri sempre sulla breccia, arroccati sulle stesse posizioni da decenni, quelli che indignati per le svolte destrorse della sinistra istituzionale hanno strappato a ripetizioni tessere sindacali e di partito ritirandosi in un perenne Aventino, non partecipiamo alla discussione (che riteniamo volgare perché un po’ sta storia della superiorità morale ce l’abbiamo inside), ma raccolti a capannello in fondo alla stanza facciamo battute sull’animosità improvvisamente ritrovata di molti colleghi. Il valoroso delegato sindacale Petazzi, che ci odia perché parliamo sempre male della CGIL, ci guarda scuotendo la testa. E dice: “lo sfascio di questi ultimi anni è tutta colpa vostra… invece di ridere e irridere, dovreste lottare, opporvi a questo triste spettacolo e farli tacere”. Allora, piccati e offesi, mettiamo all’angolo Petazzi vomitandogli addosso “e Renzi? E la Giannini? E l’alleanza con Alfano? Con Verdini??”. Petazzi riscuote la testa e commenta “scissionismo… malattia puerile della sinistra”. Al che il valoroso delegato sindacale viene ricoperto di insulti e bestemmie mentre nemmeno ci accorgiamo che la discussione sul calendario dell’anno prossimo si è conclusa, la votazione è già stata effettuata e il voto di tutti noi barricaderos figura nella casella “astenuti”.
 
Sono le diciannove e trentaquattro quando si arriva all’ultimo punto all’ordine del giorno, ovvero l’unico davvero importante e davvero degno di essere discusso. Trattasi della “revisione del quadro orario degli Istituti Professionali”. In soldoni: i tagli ferocemente imposti all’istruzione pubblica dalla riforma Gelmini hanno distrutto i professionali, privandoli di ore e ore di laboratorio delle materie professionalizzanti. E senza materie professionalizzanti che razza di professionale sarebbe? Che professione imparano questi poveri ragazzi se la scuola professionale non li professionalizza? Così si è detto: riportiamo le ore di laboratorio al numero pre-Gelmini. Ma visto che i soldi non ci sono, se si rimettono quelle ore bisogna toglierne alle materie comuni. E il preside, che ha insegnato matematica, dice: le togliamo a italiano e storia. Anzi, non lo dice, ma spara sul maxischermo un power point con un quadro orario già bell’e fatto, che prevede un’ora in meno di italiano, un’ora in meno di storia e un’ora in meno di inglese. E dice: leggetelo e votiamolo. Al che noi di lettere e di lingue – tranne i colleghi De Marco e Salvestrini, che anche se insegnano lettere applaudono alla proposta del preside aggiungendo “tanto a quei teppisti che cavolo glie ne frega di italiano? Che cavolo glie ne frega di storia? Mandiamoli a professionalizzarsi e leviamoceli di torno” – insorgiamo. Specie noi della sinistra barricadera, che cominciamo a gridare il contesto sociale, i nostri alunni vengono dagli strati più deboli della società, vogliamo aumentare il loro svantaggio privandoli di ore di cultura cui avrebbero diritto costituzionale? Soprattutto insorge il collega Bonfanti. E siccome il collega Bonfanti – vecchio combattente, uomo disilluso ma dalla moralità integerrima, perennemente prossimo alla pensione ma sempre pronto a difendere la centralità delle lettere nel mondo e massimo esegeta locale della poetica di Fabrizio De André – è il mio idolo assoluto, se insorge lui insorgo anche io, e quando scatta verso il tavolone rettangolare corro a dargli man forte.L’argomento è troppo delicato, sostiene Bonfanti, non si può votare una proposta così calata dall’alto. Le proposte devono venir fuori da una discussione collegiale, aggiungo io, perciò, concludo, discutiamo. Il preside ci dice “come al solito voi di lettere vi perdete in discorsi fumosi” (ce lo dice lui, che ha dedicato un’ora e mezzo alle micidiali comunicazioni del preside). Poi aggiunge: “siamo pratici per favore, è tardi, mica vorrete fare un dibattito alle otto di sera?”. Ma noi, spalleggiati dalla quasi totalità dei dipartimenti di lettere e lingue insistiamo: dibattito! Al che il preside rilancia: “volete dibattere? Bene, allora sospendiamo e riconvochiamo il Collegio domani alle quindici per dibattere e votare questo punto!”.Esplode un principio di guerra civile: il clan dei pendolari ci invia gestacci e minacce di morte (tranne il collega Mariani e la collega Pastacaldi, entrambi sposati ma con una tresca risaputa da tutta la scuola, che hanno colto la balla al balzo della maratona collegiale per prenotare una stanza in un’anonima pensioncina e lì trascorrere una infuocata notte d’amore), altri gridano “no, no, votiamo subito!”. Seguono momenti concitati di confusione generale, la collega Stanzani, lettere, dice “ma poi perché ci deve rimettere sempre lettere? Togliamo diritto!”. Al che la collega Cristante, che insegna diritto, si risveglia di colpo facendole il gesto dell’ombrello. Noi sinistra barricadera ci consultiamo rapidamente e decidiamo di mandare in avanscoperta il valoroso delegato sindacale Petazzi, più avvezzo di qualunque altro essere umano al mondo agli insulti, alle minacce e alle bestemmie. Lui, esaltato come non gli accadeva dal 1974 per aver ritrovato un’insperata unità della sinistra, si getta come un kamikaze e, pur se in dotazione riceve il microfono rotto, prova a proporre: votiamo se votare subito o rimandare a domani. Ma lo sentono in pochi. Bonfanti prova a riportare il silenzio gridando: colleghi, per favore, fate parlare Petazzi. Senza successo, visto che i più urlano: Petazzi è un coglione. A riportare improvvisamente il silenzio, alle venti e zerouno, è l’urlo disperato della collega Salimbeni. Pietà, pietà, grida piangendo, ho tre bambini piccoli che a casa languono senza cena, andiamo via! A questo punto tutte le colleghe, comprese quelle di lettere e lingue, comprese le barricadere, fanno quadrato e solidarizzano con la Salimbene. Già in probabile minoranza prima, la nostra mozione è definitivamente messa all’angolo. Pettazzi butta il microfono a terra, ci manda tutti affanculo e se ne va annunciando le sue dimissioni, mentre tutto il resto del corpo docente è in piedi, giacche e cappotti già infilate e braccio alzato per dire noi stiamo già votando. Il preside, vedendo quella selva di mani alzate, prende per buono il voto e sentenzia: la mia proposta di orario è approvata a maggioranza, il Collegio è finito, buona serata a tutti. Così avremo un’ora in meno di italiano, storia e inglese. Ma io non mi rassegno, e mentre tutti se ne vanno, spalleggiato da Bonfanti, incalzo il dirigente: “preside, me lo spiega come faccio a fare tutto il programma di storia in un’ora soltanto?”. “Via Lestini, la smetta… il programma di storia del biennio è pieno di argomenti che si possono tranquillamente tagliare. Le pare sensato che ancora nel 2015 si debbano studiare i sùmeri??”. Dice proprio così: “sùmeri”, con l’accento sulla “u”. “I sùmeri??”, chiedo io. “Sì, esatto, i sùmeri!”, ribadisce solenne. E non c’è nient’altro da dire.

Il Ds e la sua incredibile circolare sulle graduatorie interne

Lucio Ficara, La Tecnica della scuola  23.2.2017

Il Ds pubblica le graduatorie d’Istituto per l’individuazione dei perdenti posto sulla base dell’ordinanza dell’anno scolastico scorso.

 
Ad alcuni docenti, che ci hanno comunicato l’accaduto, è sembrato quasi uno scherzo. Ma non è così.
 
Il Ds, in data 22 febbraio 2017, il capo d’istituto pubblica una circolare con il seguente oggetto: “Decreto pubblicazione graduatorie interne d’Istituto provvisorie personale docente scuola primaria per l’individuazione di eventuali soprannumeri per l’a.s. 2017/2018”.
 
Verrebbe da domandarsi: “Ma come fa il dirigente scolastico a pubblicare le graduatorie interne per i perdenti posto se ancora non è stata pubblicata l’Ordinanza ministeriale sulla mobilità 2017/2018?”. Nessun problema! Il dirigente nella sua circolare risponde in maniera esaustiva alla nostra domanda.
 
Infatti, nel testo leggiamo che il dirigente “visto l’OM n.244 del 08 aprile 2016Visto il CCNI concernente la mobilità del personale docenteeducativo ed Ata dell’08/04/2016; dispone in data odierna, mediante affissione all’Albo e al sito Web della Scuola le graduatorie provvisorie dei docenti della scuola primaria per l’individuazione di eventuali perdenti posto per l’anno scolastico 2017/2018. Avverso le graduatorie suddette è ammesso reclamo motivato e documentato al Dirigente scolastico entro i 10 giorni dalla data di pubblicazione”.
 
Ebbene, il Dirigente scolastico utilizza, per la sua pubblicazione delle graduatorie interne, le norme relative all’anno scolastico 2016/2017, senza però curiosamente attendere la conclusione dell’iter contrattuale, le certificazioni della funzione pubblica e la pubblicazione della nuova ordinanza ministeriale per la mobilità 2017/2018.
 
Tale graduatoria, pubblicata il 22 febbraio, è da ritenersi quindi probabilmente illegittima. Proprio perché si basa su un’ordinanza e un contratto che hanno cessato la loro efficacia.
 
Inoltre c’è da sapere che per le graduatorie interne per l’individuazione dei perdenti posto, l’esclusione di chi assiste il coniuge o i figli con disabilità si applica anche in caso di patologie modificabili nel tempo (certificazione di disabilità “rivedibile”) purché la durata del riconoscimento travalichi il termine di scadenza per la presentazione delle domande di mobilità volontaria.
 
In tal caso, il fare una graduatoria sulla base di un OM dell’anno precedente agevola chi magari non dovrebbe essere escluso.
 
Infine è bene ricordare che il dirigente scolastico competente provvede, entro i 15 giorni successivi al termine fissato dall’O.M. per la presentazione delle domande di mobilità, alla formazione e alla pubblicazione all’albo dell’istituzione scolastica delle graduatorie, comprendenti sia gli insegnanti titolari su scuola, sia i docenti titolari di incarico triennale.

L’alunno disabile cambia scuola a febbraio, il preside impone al prof di sostegno di seguirlo

Carmine Nicoletti,  La Tecnica della scuola  12.2.2017

Ormai se ne sentono e se ne vedono di tutti i colori nelle scuole. Stavolta il caso è davvero particolare.

Si tratta di un docente di ruolo, utilizzato su posto di sostegno, che viene obbligato dal dirigente scolastico – con ordine scritto – a seguire l’alunno disabile per 9 ore settimanali in un’altra scuola, a seguito del ritiro dello studente e della contestuale iscrizione dello stesso in altro istituto scolastico (come si legge nello stralcio della circolare inserita nell’articolo).

Il docente in questione è stato assegnato dal competente Ambito territoriale nella scuola in parola, su posto di sostegno per 18 ore settimanali fino al prossimo 31 agosto.

Il fatto accade in una scuola secondaria di secondo grado di Cesano Maderno (Monza e Brianza), ed il dirigente scolastico è il medesimo che qualche settimana fa aveva negato il permesso allo stesso docente che aveva fatto richiesta di aggiornamento professionale.

In questa seconda situazione, il capo d’istituto, vista la richiesta dei genitori dell’alunno disabile ed acquisito il parere del Consiglio di Classe, ha disposto, ai sensi e per gli effetti di una “convenzione stipulata con un altro ds, che il docente debba “accompagnare il minore” in altra scuola per il periodo del “tirocinio orientativo dell’alunno H” che va dal 06/02/2017 al 25/06/2017.

Ora, pur tenendo in considerazione le giuste esigenze dell’alunno disabile, che deve avere la massima attenzione da parte dell’amministrazione scolastica, è un’azione decisamente inusuale quella di spostare a metà anno scolastico e per metà orario di cattedra un docente in altra scuola. C’è poi da capire qual è la portata “convenzione”, citata nel Circolare del preside, seppure supportata da legittime richieste della famiglia o dal parere del Consiglio di Classe.

C’è da chiedersi, infatti, da quale norma legislativa o regolamento della pubblica istruzione sarebbe prevista la Convenzione tra i due istituti.

E non solo. Viene infatti anche da chiedersi: il Consiglio di Classe ha il potere per legiferare sulla mobilità dei docenti?

Ed ancora, da quale norma sull’inclusione è previsto il “tirocinio di orientamento” dell’alunno disabile?

Per quanto ci risulta, non è previsto da alcuna norma legislativa o contrattuale che il docente assegnato ad un istituto scolastico ad inizio anno debba o possa spostarsi a metà anno in altra scuola.

Addirittura, non potrebbe essere disposto neppure da uffici gerarchici del dirigente scolastico, quali sono gli Ambiti territoriali e gli Uffici scolastici regionali. E non è un’opinione. Perché lo si legge nell’art. 5 c. 3 dell’attuale CCNI sottoscritto il 15 giugno scorso, utile a disciplinare le utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie per l’a.s. in corso: il testo spiega che “i provvedimenti di utilizzazione, una volta adottati, non possono subire modifiche in relazione a sedi che si renderanno disponibili successivamente“.

Ad onor del vero, in alcune regioni la questione è disciplinata dal contratto regionale sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie. Ad esempio, in alcuni contratti regionali si legge: se l’alunno disabile si ritira e si iscrive in altra scuola entro il 31/10 o 30/11, il docente, “a domanda” può seguire l’alunno se questa è sita nel medesimo comune.

Ma non è il caso della Lombardia, che nel vigente contratto regionale non ha disciplinato la fattispecie posta in esame. In questi casi, tuttalpiù, l’Ambito territoriale sposta le ore e il capo d’istituto della nuova scuola nomina un supplente sino alla fine dell’anno scolastico.

Il docente, per le restanti 9 ore rimaste scoperte per il trasferimento dell’alunno, viene dunque posto a disposizione nella scuola sino alla scadenza della data di utilizzazione.

Ergo, non può e non deve essere imposto a nessun docente, seppur per metà cattedra, di preparare i bagagli e seguire l’alunno disabile. Ancora di più perché non è previsto dalle norme in vigore che un dirigente scolastico possa spostare i docenti di ruolo in altre scuole: nemmeno in virtù di patti, accordi o convezioni tra gli istituti coinvolti. E tutto ciò non è previsto nemmeno da normative o regolamenti legislativi o ministeriali.

Giova a tal uopo ricordare, che il docente di sostegno, ai sensi dell’art. 315 c. 5 del D.Lgs. 297/1994, art. 15 c. 10 dell’O.M. n. 90/2001 e artt. 2 c. 5 e 4 c.1 del D.P.R. 122/2009, è a pieno titolo docente della classe e quindi non solo dell’allievo in disabilità.

Il principio è stato espresso più volte anche dai giudici. Come nel caso della corte d’appello di Ancona, che con sentenza n. 455 del 25 ottobre 2005, confermando la sentenza di primo grado, ha statuito che il docente va al servizio della “scuola” e non del singolo alunno disabile.

Cosa accadrà ora al docente costretto a spostarsi? Di sicuro, gli episodi che si stanno verificando nella suddetta scuola, approderanno nelle aule di giustizia. Perchè l’insegnante a cui è stato imposto il trasferimento coatto, ha impugnato il provvedimento, attraverso un proprio legale di fiducia, l’avvocato Daniele Beretta, specialista di Diritto del Lavoro, Scolastico e della Pubblica Amministrazione (appartenente al foro di Milano).

Sarebbe però opportuno che la questione venga pure approfondita dagli organi ispettivi del Miur, con un intervento chiarificatore super partes da adottare nella scuola dove è stato imposto l’anomalo trasferimento in corso d’anno. Anche a tutela della stessa amministrazione scolastica.

QUI SOTTO, LA CIRCOLARE PUBBLICATA DAL DIRIGENTE SCOLASTICO AD INIZIO FEBBRAIO 2017

circolare ds

 


È iniziata la carestia degli insegnanti, ora c’è anche un appello su Facebook

Lidia Baratta,  Linkiesta,   7.2.2017

La dirigente di un istituto di Torino, dopo vari tentativi, ha pubblicato un annuncio su Facebook. In molte provincie del Nord le graduatorie di istituto per le primarie sono esaurite. Così c’è chi assume pensionati, studenti e non abilitati. Colpa, anche, della mobilità. Ma non solo
 
 

«AAA cercasi docenti di sostegno per la scuola primaria… Chi è in possesso del titolo di accesso di contatti in privato». Il post su Facebook l’ha scritto Maria Teresa Furci, dirigente di origini calabresi dell’istituto comprensivo di Corso Racconigi a Torino. Le graduatorie d’istituto sono esaurite e anche le domande di messa a disposizione da parte dei docenti. Così, con «una cattedra e mezzo rimasta vuota e il personale che non si trova in regione», la direttrice ha deciso di affidarsi ai social. «L’ultimo tentativo rimasto», dice, dopo una lunga ricerca anche tra le altre scuole, «con l’obiettivo di garantire i diritti di tutti i bambini».

In meno di 48 ore sono arrivate nella sua posta e nei commenti di Facebook «più di cento candidature da tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia», racconta la dirigente. I requisiti richiesti sono un diploma magistrale abilitante o la laurea in Scienze della formazione primaria. «Ma molte candidature non hanno i titoli necessari e sono state respinte. Quelle valide invece le abbiamo indirizzate alla segreteria scolastica, dove una commissione valuterà i titoli».

Per le supplenze brevi, davanti alla carenza di personale, la scuola di Corso Racconigi ha già “tamponato” con i tirocinanti. Ma ora si trova a dover far fronte a una cattedra vacante che si è aggiunta durante l’anno. Anzi una cattedra e mezzo, per un anno intero. E la dirigente è corsa ai ripari.

È l’arte di arrangiarsi, necessaria nella scuola italiana dle 2017. Soprattutto nelle regioni settentrionali, dopo la “cura” non riuscita della Buona Scuola e il caos del trasferimento di migliaia di docenti da Nord a Sud, quest’anno i presidi stanno aguzzando l’ingegno per coprire le cattedre rimaste vuote. La carenza di insegnanti, come ogni anno, riguarda soprattutto le materie tecnico-scientifiche, e pure il sostegno.

L’ufficio scolastico di Torino ha pubblicato diversi avvisi di istituzioni scolastiche per la ricerca di docenti. Le Graduatorie a esaurimento in teoria sono destinate a scomparire con le assunzioni. Mentre le graduatorie d’istituto, almeno per le primarie, sono già esaurite in quasi tutte le province del Nord.

 
Schermata 2017 02 06 Alle 17L’annuncio apparso su Facebook
 

A Ravenna, in assenza di insegnanti, i bambini di diverse scuole elementari sono stati smistati in altre classi. I genitori hanno lanciato una petizione e il caso è arrivato in Parlamento tramite una interrogazione.

E le segreterie ormai sono disposte pure a chiudere un occhio sui titoli pur di avere un supplente. Altro che docenti scelti per merito. A Bergamo, si stanno arruolando anche studenti universitari e laureati non ancora abilitati all’insegnamento. E la stessa cosa stanno facendo a Treviso. A Brescia hanno chiesto aiuto addirittura a un’insegnante in pensione. E qualcuno ha lanciato pure qualche appello agli amici rimasti al Sud. Sembra un paradosso nella scuola italiana dei precari a vita, ma è quello che succede. Come negli anni Settanta, quando non c’erano insegnanti a sufficienza per coprire le aule affollate dai baby boomer, e si assumevano i laureandi. Stavolta, però, i bambini sono tutt’altro che in aumento, e i prof a disposizione ci sono. Ma non nei posti giusti.

Le ragioni sono diverse. «Per il sostegno, il motivo è che mancano gli insegnanti specializzati iscritti nelle graduatorie ad hoc», spiega Corrado Colangelo della Flc Cgil. I pochi che hanno fatto corsi di specializzazione sono già stati impiegati nelle supplenze. Corsi che, per giunta, si sono tenuti soprattutto nelle regioni meridionali, mentre in regioni come il Piemonte e la Lombardia se ne fanno pochi. Con il risultato che gli specializzati sono soprattutto al Sud. Esauriti gli insegnanti specializzati, poi, restano i “docenti di materia” in graduatoria, ma le queste graduatorie triennali, ormai vicine alla scadenza, si sono smagrite. Senza dimenticare che, dopo cinque anni, un insegnante di sostegno può transitare nel “posto comune”. «Ogni anno quindi c’è una fuoriuscita», aggiunge Colangelo.

 

Davanti alla scarsità di docenti, i presidi chiudono un occhio e assumono laureandi senza titoli. Come negli anni Settanta, quando non c’erano insegnanti a sufficienza per coprire le aule affollate dai baby boomer. Però, i bambini sono tutt’altro che in aumento, e i prof a disposizione ci sono. Ma non nei posti giusti

 

E i laureati in Scienze della formazione primaria, 1.979 nel 2015, non sono sufficienti a coprire il fabbisogno di alcune aree. In pochi ormai vogliono fare i mestri. Poi, quest’anno, va aggiunta la questione mobilità. Dopo il caos dell’algoritmo del ministero dell’Istruzione, con le assegnazioni provvisorie delle cattedre, molti docenti di ruolo, soprattutto meridionali, sono tornati nelle regioni d’origine. Ecco perché mentre al Sud i vincitori del concorsone (regionale) sono rimasti senza cattedra, molte cattedre al Nord invece sono rimaste scoperte e si deve ricorrere alle supplenze. Non solo: anche le cosiddette figure di potenziamento, da utilizzare in casi di emergenza, in alcune scuole non esistono.

Secondo un dossier di Tuttoscuola, maestri e prof che quest’anno hanno cambiato cattedra sono oltre 250mila. Anche se secondo Cisl Scuola, gli spostamenti effettivi su richiesta sarebbero ridotti a poco più di 70mila. Solo in Veneto, ci sarebbero settemila posti vacanti. Le graduatorie triennali saranno riaperte in primavera. E, a guardare le cifre, chi vorrà lavorare dovrà scegliere una provincia del Nord.

Intanto, quando si assenta un collega, i presidi tremano. Passano giornate a fare telefonate per cercare supplenti. E se le liste a disposizione sono esaurite, si ricorre al passaparola. O a Facebook, appunto, come ha fatto la preside Maria Teresa Furci.




Rilevazione delle presenze del personale docente. Bisogna rispettare i contratti
La circolare n. 45/2016 del preside di una scuola della Calabria viola il contratto di lavoro, la contrattazione d’istituto, il diritto dei docenti.
 
La scuola è l’Istituto tecnico economico “Antonio Calabretta” nel comune di Soverato in provincia di Catanzaro. La circolare del dirigente scolastico prof. A. Domenico Servello indirizzata “al Personale Docente Sito Web e Albo/ Atti Istituto Tecnico Economico ‘A. Calabretta’” è la n. 45 del 21/11/2016, anno scolastico 2016/17. Oggetto: “modalità di rilevazione delle presenze del personale docente; fonti normative e organizzazione delle attività curricolari ed extracurricolari”. A trattare l’argomento, Polibio è stato sollecitato dalla lettura di un articolo di Lucio Fichera pubblicato l’8.1.217 da “La Tecnica della scuola”. Polibio premette che le circolari non sono fonti del diritto e che la mancanza di previsione legale di rilevazione delle presenze dei docenti (che peraltro hanno il dovere di firmare nell’apposita casella giornaliera del registro di classe) esclude che la modalità possa essere individuata da un atto interno. Soprattutto perché è in vigore il Contratto collettivo nazionale del comparto scuola (fonte normativa) che sancisce all’articolo 29, comma 5, la specifica attività funzionale all’insegnamento: “Per assicurare l’accoglienza e la vigilanza degli alunni, gli insegnanti sono tenuti a trovarsi in classe 5 minuti prima dell’inizio delle lezioni e ad assistere all’uscita degli alunni medesimi”. Nello stesso Contratto nazionale del comparto scuola sono indicate le modalità di comportamento in caso di assenza per malattia: l’assenza, “salva l’ipotesi di comprovato impedimento, deve essere comunicata all’istituto scolastico o educativo in  cui il dipendente presta servizio, tempestivamente e comunque non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui essa si verifica”. Risulta pertanto corretto quanto è stato scritto dal preside Servello nel quarto capoverso della sua circolare n. 45/2016, là dove evidenzia che “il rispetto dell’orario di servizio è un obbligo che deriva anche da una precisa responsabilità dei docenti, in ordine alla vigilanza sugli alunni da 5 minuti prima dell’inizio delle lezioni al termine delle stesse e di essere già in istituto per il cambio dell’ora”. Ma non lo è affatto quando, due capoversi prima, scriveva che “per i docenti permane l’obbligo di trovarsi nell’istituto almeno 5 (cinque) minuti prima dell’inizio del proprio orario di servizio”. Non è affatto vero, perché l’obbligo del docente il cui servizio comincia a partire dalla seconda ora o da altra ora successiva è semmai di trovarsi appena un secondo prima davanti la porta dell’aula nella quale deve svolgere l’attività didattica, sostituendo, in ora successiva alla prima, il docente che, terminata la lezione, si recherà in un’altra aula, nella quale ovviamente giungerà dopo avere percorso lo spazio (nello stesso piano o in piano diverso?) che intercorre da un’aula all’altra. Tranne quello/i che inizia/no il proprio servizio, e quindi la propria attività didattica, alla prima ora, nessun docente ha “obbligo di trovarsi nell’Istituto almeno 5 (cinque) minuti prima dell’inizio del proprio orario di servizio” (peraltro, l’assenza per malattia, “salva l’ipotesi di comprovato impedimento, deve essere comunicata … non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui essa si verifica” (rispettivamente, entro le 9, le 10, le 11, le 12 o le 13, se l’inizio dell’orario di servizio è uno di quelli appena i indicati).
Certo, la puntualità, il dovere della vigilanza sugli alunni e di non anticipare l’uscita degli studenti o di classi intere, il deflusso ordinato degli studenti dalle classi al termine delle lezioni, l’osservare l’orario di lavoro, recuperare il servizio non prestato sono obblighi, e nessuno può assentarsi senza giustificato motivo. Ma non è affetto un obbligo per i docenti l’uso del badge o firmare su registri cartacei posizionati in qualsiasi parte della scuola, o presso  l’ufficio di presidenza (ovviamente, il registro cartaceo posto sopra un banchetto e magari dall’altra parte il preside seduto su una sedia, forse perché interessato a incontrare i docenti che entrano in servizio durante la mattinata, e nel pomeriggio nel caso di attività didattiche pomeridiane o di qualsiasi altro tipo di presenza). I docenti registrano la loro presenza con la firma nei rispettivi registri di classe. E non si tratta affatto di voler “difendere a tutti i costi, ormai”, a parere del preside, “superati ‘diritti di categoria’”. I diritti non sono mai superati dalle pretese di chicchessia. A nessun dipendente pubblico, addirittura in posizione apicale qual è un dirigente scolastico, è consentito, come invece ha scritto il preside Servello, affermare che “a suo parere” i “diritti di categoria sono superati”. E quindi agire nel non riconoscerli e nel non applicarli. I diritti sono costituzionalmente protetti. Le circolari non sono fonti del diritto; le leggi, i regolamenti, i contratti collettivi sono fonti normative. Il preside non è il datore di lavoro dei docenti, e non lo è nemmeno del personale ATA. Ha il dovere di garantire, nel rispetto delle vigenti norme di legge e dei diritti dei lavoratori, tra i quali quelli sanciti dal contratto collettivo nazionale di lavoro, la corretta gestione delle risorse finanziarie, umane e strumentali; di dirigere e coordinare le risorse umane; di organizzare le attività scolastiche in base a criteri di efficacia e di efficienza, e ne è responsabile. Anche lui ha l’obbligo di osservare l’orario di lavoro, compreso il preciso dovere di far sì che il controllo possa essere effettuato anche su di lui. Da parte sua, sì, facendo uso del badge (o firmando in entrata, in uscita intermedia, al rientro, in uscita al termine della giornata di lavoro, per complessive 36 ore settimanale, in un registro visibile, come quello che vuole per i docenti, pur se in violazione del contratto collettivo di lavoro, aggiungendo a esse le ore svolte nel coordinamento e nella gestione di progetti retribuiti).
Comunque, evitando l’insorgere di sproloqui da parte di chicchessia nel caso di assenze durante le ore delle attività didattiche. Un preside-padrone di un Istituto scientifico di Foggia, il “Marconi”, oltre ad assentarsi per “necessarie presenze” in altri ambiti, utilizzò un collaboratore scolastico, che ovviamente aveva “certificato” attraverso il badge la sua puntuale presa di servizio, per fargli svolgere un servizio esterno di interesse personale. Personale di quel preside-padrone. E dopo che la dsga venne a sapere da quel collaboratore scolastico – al quale aveva chiesto il perché si era allontanato dalla scuola senza chiedere il permesso – che era andato a svolgere all’ufficio postale un’attività esterna per conto di quel preside-padrone, nei di lei confronti si scatenarono le furie di quel personaggio, preside-padrone che gravemente aveva violato la legge e utilizzato un dipendente dello Stato per svolgergli all’esterno della scuola un servizio privatistico. Un preside-padrone che poi ha reagito e agito, più volte, pesantemente contro la dsga che aveva “osato” contestargli questa e altre irregolarità. Un preside che dopo l’espulsione dall’ANP, le cause insieme ad altri perse e dal legittimo presidente nazionale della dirpresidi Beniamino Sassi vinte, le altre cause personalmente perse (Tribunale civile e Tribunale penale di Foggia, con una condanna a 30 giorni di reclusione, alla quale è stato proposto appello a Bari), la funzione di segretario generale di dirigentiscuola e quella di segretario generale aggiunto della Confedir, della quale ormai da tempo lui e la sua associazione non fanno più parte, ha realizzato il trasloco alla Codirp.
Ebbene, ritornando al badge per l’entrata e l’uscita dei docenti o al registro firme, posizionato presso l’ufficio di presidenza, per segnarvi ciascuno dei docenti, accanto al proprio nome, l’orario di entrata e quello di uscita, ci si chiede come è possibile che il dirigente scolastico, imponendo la scelta tra badge e registro firme, abbia violato il contratto collettivo nazionale del comparto scuola, pur scrivendo nella sua nota n. 45/2016 che la RSU d’istituto, ovviamente in sede di contrattazione, aveva ritenuto, “legittimamente, di non sottoscrivere il contratto che prevedesse l’obbligo della timbratura tramite badge anche da parte del personale docente, in quanto, secondo i dati in loro possesso, la maggioranza dei docenti dell’ITE ‘A. Calabretta’ non condivide, anzi è contrario a questo sistema di rilevazione delle presenze”? Polibio ritiene che nella determinazione del dirigente scolastico di obbligare i docenti a utilizzare il badge o a firmare in un registro posto presso l’ufficio di presidenza, in opposizione alla  RSU d’istituto e alla maggioranza dei docenti, possano configurarsi il comportamento antisindacale e la violazione del contratto collettivo nazionale. Comunque sia, è compito delle organizzazioni sindacali e delle RSU rivolgersi alla magistratura competente. Tra l’altro, a parte la presenza attestata nei rispettivi registri di classe, la presenza degli insegnanti – come anche quella dei non docenti in organi della scuola – che partecipano ai Collegi dei docenti, ai Consigli d’Istituto, ai Consigli di classe è attestata dai verbali redatti dai rispettivi segretari, così come per quanto concerne eventuali altre attività, retribuite o non retribuite, per le quali sono previsti specifici registri. Inoltre, va evidenziato che il coordinamento dei Consigli di classe non è affatto obbligatorio per gli insegnanti. Si tratta di una competenza specifica del dirigente scolastico, e pertanto il docente può non accettare il compito eventualmente conferitogli dal dirigente scolastico. A tal proposito, la sentenza n. 1830, del 2 novembre 2016, del Giudice del lavoro del Tribunale di Cosenza ha decretato l’immediato annullamento della sanzione disciplinare dell’avvertimento scritto comminata dal dirigente scolastico di un liceo scientifico di Cosenza a una insegnante che aveva rinunciato alla nomina di coordinatore del Consiglio di classe. E immaginiamo se tutti gli insegnanti rinunciassero a svolgere, per delega conferita dal dirigente scolastico, la funzione di coordinatore del Consiglio di classe!
Forse sarebbe il caso che il dirigente scolastico – qualsiasi dirigente scolastico –, invece di imporre, con circolari che non sono fonti del diritto, agli insegnanti e al personale ATA, e che addirittura afferma che non intende abdicare, ciò che contrasta col contratto collettivo di lavoro (i contratti collettivi sono fonti normative), si mettesse a capo dei docenti, degli assistenti, dei tecnici e degli amministrativi, nonché del dsga, nel rivendicare quanto a ciascuno di loro viene mensilmente sottratto (da 120 a 200 euro, corrispondenti, in un anno, da 1.560 a 2.600 euro), in un susseguirsi di perdite mensili anno dopo anno, e quanto complessivamente è stato a tutti loro sottratto negli ultimi sette anni (complessivamente, 24 miliardi di euro). E se il dirigente scolastico ha il “piacere” di incontrare due volte al giorno gli/le insegnanti presso l’ufficio di presidenza, ovviamente nell’ora di ingresso per l’inizio della personale attività didattica e in quella d’uscita dopo la conclusione della personale attività didattica – nella sostanza, una sorta di pellegrinaggio giornaliero degli insegnanti per inchinarsi, ovviamente rispetto al tavolo sopra il quale è stato posto un registro, e firmare e segnare ora, minuto e secondo di entrata e di uscita –, non c’è bisogno di “costringerli” con una circolare niente affatto fonte del diritto a firmare su un registro cartaceo se desidera offrire a ciascuno di loro un caffé, con o senza zucchero. Non abbia alcun dubbio, verranno tutti/tutte a incontrarlo presso l’ufficio di presidenza e a bere il caffé che certamente offrirà a ciascuno di loro..
Polibio
polibio.polibio@ hotmail.it 
Il Ds obbliga i docenti ad andare in presidenza per firmare

Lucio Ficara,  La Tecnica della scuola  8.1.2017
Singolare circolare di un Ds che, come in una sorta di gioco tra guardia e ladri, vorrebbe “stanare” e “sanzionare” i furbetti del ritardo.
 
Evidentemente nella scuola diretta da questo Dirigente Scolastico, che si trova in Calabria, il problema dei docenti ritardatari che non rispettano le norme contrattuali deve essere veramente grave per scrivere una circolare così dura, confusa dal punto di vista normativo e a tratti pure aspra.
 
Il Ds in tale circolare si lamenta del vuoto normativo riguardante il sistema del controllo degli obblighi di servizio del personale docente. In sede di contrattazione d’istituto, ha provato ad introdurre, ottenendo il no delle RSU, l’obbligo della timbratura delle presenze anche per il personale docente.
 
Contrariato dal no delle RSU e rammaricato perché non si sono compresi il senso e la finalità della sua proposta, il Ds nella circolare scrive: “mi verrebbe voglia di parafrasare il film del compianto Troisi: Non ci resta che piangere”.
 
Poi il Ds si lascia andare, nella stessa circolare, a considerazioni di carattere “politico-sindacali” e del tutto personali. Infatti il Ds scrive: “Ma tant’è: si vuole difendere a tutti i costi ormai, a mio parere, superati “diritti di categoria”!
 
“Tuttavia, in quanto, Dirigente scolastico – prosegue -, a cui vengono demandati i compiti di gestione, non intendo assolutamente abdicare, farei violenza al mio modo di pensare e di essere, al mio ruolo, alle funzioni e alle prerogative connesse, che la normativa vigente mi assegna in toto. Il mio compito è quello di gratificare e “premiare” chi adempie diligentemente al proprio dovere e “stanare” e “sanzionare” i furbi. È questo il mio dovere, e questo intendo perseguire con tutti gli strumenti che la normativa ed il ruolo mi assegnano”.
 
Nella circolare si rammenta che i dirigenti sono responsabili del controllo dell’osservanza dell’orario di lavoro da parte del personale dipendente. È un loro preciso dovere stabilire il modo in cui il controllo possa essere effettuato. Disposizioni in base alle nuove disposizioni legislative relative alla falsa attestazione in servizio dei dipendenti e ai conseguenti obblighi e responsabilità del datore di lavoro (nella fattispecie del Dirigente Scolastico), consultabili al link http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/06/28/16G00127/sg .
 
Alla luce di tutto ciò, si comunica che, a partire da lunedì 28 novembre p.v., tutti i docenti sono tenuti a firmare, in ordine di arrivo, il registro cartaceo, delle presenze in maniera leggibile e apponendo di fianco l’orario di ingresso e di uscita. Il registro firme sarà posizionato presso l’ufficio di Presidenza.
 
Una riflessione viene spontanea, visto che il metodo di controllo che pretende il Ds ci sembra una forzatura alle norme: perché invece il Preside, visto che è giusto controllare chi arriva puntuale e chi in ritardo, non si mette tutte le mattine davanti l’entrata della scuola?



Il Tribunale di Foggia ha condannato Attilio Fratta, ex preside dell’istituto “Marconi” di Foggia, alla pena di 30 giorni di reclusione.
inviata da Polibio, 29.12.2016
Il percorso per giungere alla sentenza di condanna, pronunciata il 20 maggio 2015 e depositata in Cancelleria il 6 agosto 2015 ( n. 2414/15), ha riguardato ciò che era accaduto durante il collegio dei docenti del 10 settembre 2008, con riferimento alla precedente seduta collegiale dell’8 settembre. Poco più di due mesi dopo, il 14 novembre 2008, l’allora dirigente scolastico Attilio Fratta, a seguito di denuncia presentata dalla professoressa Maria Mingione, veniva iscritto nel registro delle notizie di reato. Il 16 dicembre 2010, concluse le indagini preliminari relative al procedimento penale di cui al registro delle notizie di reato, Attilio Fratta veniva citato a giudizio per l’udienza del 4 aprile 2011 innanzi al Tribunale di Foggia, in seduta monocratica, per rispondere del reato aggravato che gli veniva contestato quale imputato con il decreto di citazione a giudizio: “avere, nella qualità di dirigente scolastico del liceo scientifico statale ‘G. Marconi’ di Foggia, costretto con minacce l’insegnante Maria Mingione ad uscire dall’aula nella quale si stava svolgendo il collegio dei docenti, rispondendo alle sue richieste di conoscere i motivi per i quali era stata spostata di corso nonché di verbalizzare le predette richieste con la frase: ‘professoressa stia zitta altrimenti chiamo i carabinieri e la faccio arrestare, vada fuori dall’aula’; alla richiesta del perché volesse farla arrestare, aggiungeva di conoscere tanti sistemi per porre fine al suo atteggiamento; indi, a fronte di una nuova richiesta di chiarimenti formulata dall’insegnante, perdeva completamente il controllo e si dirigeva verso la stessa con le braccia protese in avanti, urlando ‘le ordine di uscire dall’aula’, ‘vada fuori’, nonché, dopo che la stessa usciva dall’aula, sbattendo la porta. Con l’aggravante di avere commesso il fatto con abuso dei poteri inerenti ad una pubblica funzione”. Era, all’epoca del fatto, il 10 settembre 2008.
 
Dal 4 aprile 2011 all’udienza del 20 maggio 2015, il dibattimento si è svolto in tredici udienze. Durante la prima fase (giudice il dott. Dello Iacovo), la professoressa Mingione si costituiva parte civile, danneggiata dal reato e persona offesa. Dall’udienza del 25 marzo 2013, giudice la dottoressa Stefania Erione. Ciò che era accaduto il 10 settembre 2008 non sarebbe stata comunque cosa da poco. A parte l’inesistenza di un verbale del collegio dei docenti – quello del giorno 8, verbale che veniva dato per esistente (e invece non esisteva affatto) nel decreto di assegnazione della professoressa Mingione ad altro corso, decreto dalla stessa professoressa Mingione ottenuto il giorno successivo, datato 8 settembre 2008, nel quale decreto era scritto “visto il verbale del collegio dei docenti dell’8 settembre 2008” (insomma, un verbale “fantasma”) –, ciò che era puntualmente testimoniato, con numerosi particolari, in quanto accaduto, non poteva essere affatto “dimenticato” dai testi a difesa dell’imputato Fratta. E infatti, dopo avere magari più volte detto i pochi docenti convocati dalla difesa del Fratta e sentiti dal giudicante di non ricordare, in conclusione affermavano comportamenti e affermazioni dell’allora preside Fratta che non potevano non avere visto e sentito. Né lo stesso Fratta, durante le sue spontanee dichiarazioni, avrebbe trovato un’ancora di salvezza. Perché la sua personale difesa consisteva nel dire che a fare storie era cominciata la professoressa Mingione. Ma la professoressa Mingione chiedeva, essendo un suo diritto, la lettura di un verbale, dato per esistente nel decreto di assegnazione ad altro corso, nel quale dovevano essere spiegate e deliberate le motivazioni. E comunque ripetutamente chiedeva al dirigente scolastico quelle spiegazioni che era obbligato a dare proprio in sede di Collegio dei docenti. Aggiungendo il Fratta, nelle sue dichiarazioni spontanee al giudicante, che dopo una volta, due, tre, quattro, quando uno insiste, va “invitato a uscire fuori”.
 
Ma, riflette Polibio, perché, invece di dare la risposta, essendo un suo dovere, a ciò che dalla professoressa Mingione gli veniva legittimamente chiesto – dato che la professoressa Mingione insisteva ad avere la risposta a ciò che ripetutamente chiedeva, avendo il diritto di insistere nella domanda e di avere la risposta, e non voleva stare zitta, proprio perché legittimamente rivendicava il diritto ad avere la risposta dall’allora preside Fratta, che da parte sua aveva il dovere di fornirgliela e invece gliela negava con comportamento addirittura minaccioso –, l’allora preside Fratta giunse al punto di “invitarla a uscire fuori” (e sul tipo di “invito” ci sono precise testimonianze in sede processuale, e non soltanto processuale)? A “uscire fuori” nonostante il suo dovere di rispondere alla domanda che dalla professoressa Mingione, nella qualità di componente del collegio dei docenti, e non di imputata oppure di testimone in un processo penale, gli veniva più volte rivolta dato il suo silenzio e il suo comportamento ripetutamente omissivo e conclusosi con la “cacciata” dall’aula? “Cacciata” (con minacce) e “fuga” verso la porta d’uscita (quella sbattuta dal Fratta) della professoressa Mingione, puntualmente descritte dai molti testimoni non privi di memoria, mentre i pochi della difesa dicevano di non ricordare molto chiaro ciò che era accaduto: i fatti. Ma uno di loro un bel po’ di memoria dimostrò di averla ancora. D’altra parte – dato quanto di rumoroso era accaduto dentro l’aula in cui si svolgeva il collegio dei docenti, oltre alla porta sbattuta o altrimenti chiusa dall’allora preside Fratta alle spalle della professoressa Mingione, inseguita e “in fuga” verso la porta, subito dopo l’uscita, alle lacrime e all’agitazione della stessa, e conseguentemente all’aiuto datole da alcuni colleghi, nonché del malore in seguito al quale veniva accompagnata al Pronto Soccorso degli Ospedali Riuniti di Foggia, dove le veniva diagnosticato ciò che si trova descritto nel referto medico –, bisognava essere totalmente sordi e privi di vista, oltre che di memoria, per non avere visto e sentito (chi non sente e non vede non può ricordare, proprio perché non ha sentito e non ha visto); lo stesso se, pur avendo visto e sentito, riguarda chi è privo di memoria.
 
In definitiva, l’allora preside Attilio Fratta, rivolgendosi alla professoressa Mingione con tono alterato con l’intento di farla stare zitta, la costringeva a uscire dall’aula contro la sua volontà; inoltre, se la professoressa Mingione avesse continuato con la sua richiesta, nonostante  l’intimazione di stare zitta, la minacciò di chiamare i carabinieri, esercitando pertanto il potere di dirigente scolastico “in spregio di un diritto riconosciuto alla docente e cioè di ottenere la lettura del verbale”. Un verbale però del tutto inesistente, nonostante l’essere stato indicato per esistente nel decreto di assegnazione della professoressa Mingione ad altro corso. Decreto ottenuto il giorno 9 settembre 2008, nel quale era scritto “visto il verbale del collegio dei docenti dell’8 settembre 2008”. Sì, il verbale inesistente. Che alla data del 10 settembre 2008 non era stato redatto. E che sarà redatto, approvato e sottoscritto addirittura quindici giorni dopo (il 25 settembre 2008). In conclusione, l’imputato Attilio Fratta è stato condannato per il reato a lui ascritto “alla pena di giorni 30 di reclusione”, “pena sospesa”, “nonché alle spese di costituzione che si liquidano in complessivi euro 4000,00 oltre cap e iva come per legge”. Ed è stato altresì condannato “al risarcimento del danno subito dalla costituita parte civile”, la professoressa Maria Mingione, “da liquidarsi in separato giudizio”. Alla sentenza è stato prodotto appello dal difensore di fiducia il 6 ottobre 2015, con atti in Corte d’Appello di Bari il 23 maggio 2016.
 
Si tratta dello stesso Attilio Fratta che, oltre al contenzioso con l’Associazione Nazionale Docenti per la regione Puglia e all’espulsione assunta all’unanimità dal rispettivo Collegio nazionale dei probiviri, di cause in sede di Tribunale civile, da attore o da convenuto, ne ha perse diverse. Soprattutto quelle che si riferiscono alla diatriba col legittimo segretario nazionale della Dirpresidi, Beniamino Sassi. In particolare, quella davanti al Tribunale di Roma del 10 ottobre 2013 e quella davanti al Tribunale ordinario di Firenze, Tribunale delle imprese civile, che ha accolto il ricorso di Sassi e quale conseguenza la Dir trattino presidi trattino scuola (Dir-presidi-scuola) è stata rottamata, peraltro essendo stata ordinata la pubblicazione dell’ordinanza del 17 giugno 2013, a cura e a spese dei reclamanti (Attilio Fratta, nella qualità di presidente della Dir-Presidi Scuola, Salvatore Indelicato e Associazione Dir-presidi scuola), sul quotidiano “La Repubblica” (mezza pagina 11 di lunedì 31 marzo 2014). In definitiva, l’Associazione professionale ha assunto il nome di Dirigentiscuola, aderente alla Confedir, con Attilio Fratta – dopo il trasferimento dall’Istituto “Marconi” all’Istituto “Masi”, in pensione dal 2012-2013, a poco più di 62 anni d’età, dopo 40 anni di servizio a diverso titolo nelle scuole – segretario generale. Da segretario generale di Dirigentiscuola ha partecipato, con Francesco Nuzzaci e Laura Biancato a comporre insieme la delegazione per l’incontro, momento per lui certamente interessante, col “nuovo Ministro dell’istruzione“ signora Valeria Fedeli”, con la quale il colloquio intercorso il 22 dicembre 2016 ha riguardato “i temi cari alla dirigenza scolastica”. Ministra dell’Istruzione di recentissima nomina, si ritiene che in tempi precedenti non avesse avuto occasione di conoscere nessuno dei tre componenti la delegazione Dirigentiscuola. Così come si sarà trattato anche per i componenti, anche se non tutti, delle altre delegazioni sindacali del comparto scuola.
 
Al termine dell’incontro, “Attilio Fratta ha consegnato al Ministro, che ha dimostrato di apprezzare, un dossier contenente le priorità di cui tener conto”. Un dossier contenente “le firme che circa mille Dirigenti hanno apposto alla lettera-appello a suo tempo inviata al precedente Ministro, la Piattaforma rivendicativa, la Richiesta di Chiarimenti sul decreto 97/16”, concludendo “con selfie e foto ricordo, cui la Signora Valeria Fedeli si sottopone sorridente, mentre la delegazione si congeda in un clima estremamente positivo”. Così nel comunicato dell’incontro diffuso attraverso il proprio sito dalla Dirigentiscuola. Certamente interessanti “le firme che circa mille Dirigenti hanno apposto alla lettera-appello”, dato che i dirigenti scolastici attualmente in servizio si ritiene che siano circa 6.500 rispetto ai pochi più degli 8.000 che costituiscono l’organico (così perché da oltre tre anni viene, clamorosamente smentendo la promessa di svolgimento semestrale a Roma del concorso per dirigenti scolastici, essendo stato periodicamente rinviato a data da destinarsi il bando di concorso per i posti vacanti, nel frattempo affidati in reggenza, anche più di una, a dirigenti scolastici di ruolo). Interessanti le firme apposte da “circa mille Dirigenti alla lettera-appello”, data l’esistenza dell’ANP (Associazione Nazionale Presidi), di altri sindacati della scuola (Cisl, Cgil, Uil, Gilda e Snals) e di associazioni.
 
Polibio, storiografo universitario, interessato alla ricerca, ha nel suo archivio moltissimi documenti, fonti primarie e fonti secondarie, tra cui anche, assolutamente importanti, le trascrizioni di conversazioni registrate su CD e di colloqui telefonici, nonché i circostanziati esposti di segretari generali provinciali di sindacati firmatari del Contratto nazionale del comparto scuola, tra i quali, di notevole importanza, quelli sottoscritti dal prof. Maurizio Carmeno nella qualità di Segretario provinciale della Flc-Cgil Foggia, sostanzialmente colmi di verità, concernenti la condotta di dirigenti scolastici, tra i quali quelli riguardanti il “Marconi” il Foggia e i comportamenti del dirigente scolastico Attilio Fratta.  Altrettanto importanti le relazioni di dirigenti tecnici (tra le quali, alquanto interessante, la comunicazione del dirigente tecnico Alessandro Vaira al Direttore generale dell’U.S.R. per la regione Puglia, che lo aveva “incaricato di effettuare visita ispettiva presso l’istituto scolastico ‘G. Marconi’ di  Foggia al fine di ‘verificare l’esatta dinamica dei fatti accaduti che sono stati causa di procedimento disciplinare nei confronti di una professoressa’” e,  interessantissima, la relazione a seguito dell’indagine ispettiva del prof. ing. Diego Bouché presso il liceo scientifico “G. Marconi” di Foggia (16 e 17 novembre 2009; 9 dicembre 2009 per un secondo colloquio col d.s. Fratta; a Foggia, il 9 dicembre 2009, per aderire all’incontro richiesto dai segretari provinciali di Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Confsal-Snals e Gilda “per essere ascoltati in merito all’ispezione in corso), essendogli stato conferito il mandato dall’allora Direttore generale dell’U.S.R. per la Puglia dr.ssa Lucrezia Stellacci, “nei confronti del dirigente scolastico prof. Attilio Fratta”, con riferimento a “un esposto della Federazione Lavoratori della Conoscenza di Foggia. Si tratta, nel complesso, di documenti che in gran parte sono stati inviati a  Polibio dai suoi lettori e anche, soprattutto, da persone che hanno subito conseguenze anche gravissime perché con coraggio e determinazione hanno “osato” opporsi alle prepotenze, alle falsità, alle imposizioni del preside-padrone. Tra i quali quello che magari utilizzava impropriamente, a proprio uso, qualche unità del personale Ata. E c’è chi tace, magari perché costretto a tacere, su violenze delle quali è stato testimone e purtroppo dice falsità, anche all’ispettore che lo interroga, forse per il timore di subire gravi conseguenze da parte del preside-padrone che probabilmente l’ha già sanzionato con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione (e a tal proposito, Polibio, come per tutto ciò che scrive, ha ricevuto due interessantissimi documenti, peraltro sottoscritti da dirigenti sindacali).
 
Conseguentemente, quel tizio che tace e dice il falso, anche se ha paura, diventa, o è costretto a diventarlo, connivente del preside-padrone; che magari riceve migliaia di euro in contanti e fuori bilancio dalla ditta che, in esclusiva, viene tacitamente autorizzata a istallare dentro i locali dell’istituto scolastico macchinette distributrici di bevande e merendine; e che quando dalla dsga, subito dopo la sua assunzione in servizio nell’istituto scolastico, viene con determinazione ripetutamene invitato a smettere e a stipulare un contratto con la ditta (comodante), non solo non procede con l’indizione della gara d’appalto, ma addirittura stipula e sottoscrive a nome dell’istituto (comodatario) un “contratto di comodato e somministrazione”, “a titolo di ‘comodato gratuito’”, “al solo scopo di somministrare i prodotti esclusivamente forniti dalla ditta comodante”, addirittura raddoppiando il numero delle macchinette, assumendo l’istituto l’obbligo, oltre alla custodia e alla conservazione, “della pulizia dei locali ove i distributori sono installati”. La ditta non versa nulla alla cassa dell’istituto scolastico, obbligato tra l’altro alla pulizia, e nulla si può sapere su questioni attinenti l’iva e la fiscalità. C’è qualcuno che ha uno specifico interesse? A tal proposito, c’è la relazione del dirigente tecnico prof. ing. Diego Bouché (datata 08 febbraio 2010) dalla quale si evince il dovere d’ufficio, “in considerazione di quanto emerso in merito alla irregolarità amministrativa relativa ai contratti di gestione delle macchinette erogatrici di bevande e merendine”, d’inviare “copia della relazione anche alla Procura regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti della Puglia di Bari per eventuali interventi di competenza di detto Ente”.
 
Più volte, negli anni trascorsi, Polibio ha trattato l’argomento concernente l’uso di registratori e di telefonini per difendersi dai presidi-padroni, registrando però essendo presente. L’ultimo dei suoi interventi sull’argomento, come gli altri pubblicato attraverso i siti scolastici (Gilda Venezia, Gilda Cuneo,  Aetnascuola, Rete Scuole, Associazione Nazionale Docenti e altri), questa volta nei giorni finali del mese di novembre del 2016, ha per titolo “Cellulari e registratori per proteggersi dai presidi-padroni”. E le registrazioni, anche attraverso l’uso del telefono o del cellulare, hanno prodotto effetti assolutamente positivi.
 
Per esempio, facendosi riferimento alla relazione Bouché, un assistente amministrativo, unico a essere presente nella stanza della dsga dell’Istituto “Marconi” di Foggia, quando le grida dell’allora preside Fratta nei confronti della dsga Michela Mocciola vennero sentite nell’intera scuola, interrogato dall’ispettore rispose che il d.s. non aveva “né strattonato né tolto violentemente le chiavi della cassaforte dalle mani della dsga”. Ebbene, poiché, dopo essere uscito il d.s. Fratta, la dsga Mocciola ebbe l’accortezza di registrare in cd la conversazione con quell’assistente amministrativo che era stato sempre presente, questi non solo affermò che il d.s. aveva inveito con voce arrogante e “ti ha tolto le chiavi di mano”, aggiungendo “questo ho visto e questo dico”, e aggiungendo ancora che sarebbe un inferno per lei,  “perché … è vendicativo … vi dimetterà dall’incarico per inefficienza … ha detto ti revoco l’incarico … lui ha detto queste parole: ‘ti revoco l’incarico per inefficienza’”.
 
Nella relazione del dirigente tecnico Bouché c’è anche una “strana” dichiarazione di una professoressa che all’epoca dei fatti che la riguardavano era  iscritta alla Flc-Cgil (e il rinvio va alla comunicazione del dirigente tecnico Alessandro Vaira al Direttore generale dell’U.S.R. per la regione Puglia). Una professoressa che riferisce, in sede di ispezione, al professore Buché di incomprensioni col d.s. Fratta sfociate “anche nelle sanzioni disciplinari dell’avvertimento scritto e della censura” che l’avevano “molto scossa ‘portandola a vivere con molta tensione la vita scolastica e familiare”, ma all’inizio del successivo anno scolastico c’era stato, essendo stata invitata, un colloquio col d.s., e da allora i rapporti erano stati sereni. Si era però cancellata dalla Flc-Cgil. Le “espressioni” del d.s. a proposito della Flc-Cgil si trovano in un colloquio tra lo stesso d.s. e la dsga Michela Mocciola che lo ha registrato quando la rimproverava per avere chiesto al collaboratore scolastico, arbitrariamente allontanatosi dalla scuola, accertando che era andato a svolgere un “incarico” personale del preside.
 
E c’è anche altro in quella registrazione. Che non è l’unica, perché, oltre a quella col collaboratore scolastico che alcuni mesi prima era stato illecitamente utilizzato dal preside Fratta per un servizio personale all’esterno della scuola, c’è anche quella di alcuni giorni dopo, quando è rimproverata dallo stesso Fratta perché si era permessa di chiedere al dipendente che si era allontanato dalla scuola senza avvertirla in che cosa era stato utilizzato, durante l’orario di servizio, dal preside, risultando l’allontanamento per qualcosa niente affatto riguardante la scuola, ma per recarsi in un ufficio postale per un “servizio” privato richiestogli dal preside. Due le registrazioni. Parecchio inquietanti le espressioni usate dal Fratta nei confronti della dsga Mocciola. Si tratta di uno degli aspetti delle “Cinquanta sfumature di giallo nel licenziamento della dsga del ‘Marconi’ di Foggia”, anche con riferimento allo “08.02.2010” in tre documenti. Sarà oggetto, trattandosi di una delle sfumature di giallo, di un prossimo articolo di Polibio. Va anche detto che la dsga dott.ssa Michela Mocciola è stata, dopo avere subito anche ciò che è stato sintetizzato, addirittura licenziata senza preavviso l’8 febbraio 2010; che le denunce penali del Fratta nei suoi confronti sono state archiviate dal Giudice per le indagini preliminari il 12.3.2015 nonostante l’opposizione dello stesso Fratta alla prima richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Foggia il 12.05.2014; che la causa in opposizione al licenziamento avanzata dalla dsga Mocciola presso il Tribunale del lavoro di Foggia è nella fase conclusiva e che comunque altro resta da dire, in particolare su “8 febbraio 2010”. Premettendo che nei suoi confronti ci sono state, da parte dell’allora preside Fratta, raffiche per complessive 9 contestazioni e altrettante sanzioni disciplinari, a catena, con sospensioni dal servizio e dalla retribuzione. Addirittura quattro, di dieci giorni ciascuna, da “scontare” per complessivi quaranta giorni dall’1 febbraio 2010, finalizzate a impedire il rientro della dsga Mocciola in ufficio.
 
Nella relazione del dirigente tecnico prof. ing. Bouché c’è la raffica di invii di visite medico-fiscali alla professoressa Mingione durante i 75 giorni di assenza dopo quanto di rumoroso (“increscioso incidente” è definito dal prof. Bouché nella sua relazione) era accaduto dentro l’aula in cui si svolgeva il collegio dei docenti, dove la porta era stata sbattuta o altrimenti chiusa dal preside Fratta alle spalle della professoressa Mingione, inseguita e “in fuga” verso la porta, in lacrime e agitazione, e conseguentemente, avvertito un malore, era stata accompagnata al Pronto Soccorso degli Ospedali Riuniti di Foggia. Complessivamente 12 invii “di controlli medico-fiscali”, come è stato accertato dal prof. Bouché, evidenziando che agli atti non vi erano “azioni simili nei confronti di altri insegnanti e, per di più, i suddetti controlli sono stati disposti immediatamente dopo l’increscioso incidente avvenuto” 75 giorni prima.
 
Il ruolo svolto, con la sottoscrizione di relazioni contenenti puntuali indicazioni oggetto di attenzione e di intervento da parte dei dirigenti, rispettivamente, dell’Ufficio scolastico provinciale di Foggia e dell’Ufficio scolastico regionale per la Puglia, dall’allora Segretario generale provinciale della Flc-Cgil Foggia prof. Maurizio Carmeno, peraltro con l’adesione e la collaborazione (autori di altri scritti, tra i quali quello di Ruggero Pinto, Segretario provinciale della Federazione Gilda-Unams) dei Segretari provinciali della Gilda, della Cisl Scuola, dell’Uil Scuola e dello Snals, è stato fondamentale nell’assistenza di coloro che venivano ingiustamente “colpiti” dal preside-padrone di un Liceo scientifico, il “Marconi” di Foggia. Dove c’erano anche le manifestazioni degli studenti, come certificato dalle loro proteste anche attraverso i giornali (tra gli altri, “l’Attacco”), di tono alquanto elevato. Fondamentale il ruolo di Carmeno e degli altri sindacalisti nella rimozione di comportamenti non conformi alle norme di legge e contrattuali. Finita l’esistenza degli appartenenti a un “cerchio magico” che col preside (e chissà perché dato che dopo il trasferimento di quel preside dal “Marconi” al “Masi” ha cambiato idea) non sopportava gli interventi sindacali, soprattutto da parte della Flc-Cgil rappresentata dal segretario provinciale Carmeno, è tornato per quanto è stato possibile il “sereno”. Maurizio Carmeno, dopo essere stato segretario provinciale della Flc-Cgil di Foggia e dal 2010 Componente della segreteria confederale della Cgil, è dal 13 gennaio 2016 Segretario generale della Camera del Lavoro Territoriale di Foggia. Ed è anche, a riprova del suo impegno per lo sviluppo e legalità, Presidente del Consiglio d’Istituto del liceo Guglielmo Marconi di Foggia.
 
Polibio                                                                                                                                            
 
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Aumenti stipendiali: l’impegno scolastico dei docenti è pari a un decimo di quello dei loro Dirigenti?
di Aldo Domenico Ficara, Regolarità e Trasparenza nella Scuola,  2.12.2016
Partiamo dalla lettura  dell’art. 86 della legge 107/15 che recita così: “In ragione delle competenze attribuite ai dirigenti scolastici, a decorrere dall’anno scolastico 2015/2016 il Fondo unico nazionale per la retribuzione della posizione, fissa e variabile, e della retribuzione di risultato dei medesimi dirigenti è incrementato in misura pari a euro 12 milioni per l’anno 2015 e a euro 35 milioni annui a decorrere dall’anno 2016, al lordo degli oneri a carico dello Stato.
Il Fondo è altresì incrementato di ulteriori 46 milioni di euro per l’anno 2016 e di 14 milioni di euro per l’anno 2017 da corrispondere a titolo di retribuzione di risultato una tantum.”
In altre parole a regime nel 2017 i Dirigenti scolastici avranno un aumento stipendiale medio, legato ai risultati ottenuti,  di circa 800 euro lordi al mese, poco meno di 450 euro netti al mese.
Quindi rispetto ad un aumento a regime nel 2018 di 45 euro nette stabilito per gli insegnanti, i Dirigenti scolastici otterranno un incremento stipendiale 10 volte maggiore.
Una sola riflessione: “Quanti sono gli insegnanti che percepiscono il valore del loro impegno scolastico pari a un decimo di quello dei loro Dirigenti?”


Docenti e Ata non si candidano per il Consiglio d’istituto. Sarà commissariata la scuola?
inviata da Polibio, 13.11.2016
In una scuola secondaria superiore di un comune della provincia di Catania, nessuno dei docenti e del personale ata (complessivamente un centinaio) si è candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio d’istituto, triennio 2016-2019. Di fatto, sempre che i quattro rappresentanti dei genitori degli alunni e i quattro rappresentanti degli studenti che saranno eletti accetteranno di far parte del Consiglio d’istituto (e anche se sostituiti in caso di dimissioni da altri presenti nelle liste, ma che non erano stati eletti), le unità, compreso il dirigente scolastico, componente di diritto, saranno nove, in un Consiglio che è composto complessivamente di diciannove persone. Quindi assolutamente minoritario, perché dieci delle diciannove unità che compongono il Consiglio sono rappresentate in numero di otto da docenti e in numero di 2 da personale ata. Sarebbe come un Consiglio comunale di quaranta persone nel quale i consiglieri sono soltanto diciannove. Quindi un Consiglio da essere sciolto e un comune da commissariare. Comunque, resta fondamentale il fatto che nessuno dei docenti e del personale si è candidato nelle rispettive liste, ciascuna delle quali doveva essere presentata da almeno venti sottoscrittori di lista non candidati. Andrà commissariata la scuola o andrà commissariato soltanto il Consiglio d’istituto? Tuttavia, il dirigente scolastico potrebbe, se consentito per correttezza giuridica da norme specifiche, essere incaricato dall’Ufficio scolastico provinciale – trattandosi di tipologie diverse rispetto a quella unica per l’elezione dei  consiglieri comunali – di indire nuovamente le elezioni soltanto dei rappresentanti dei docenti e degli ata nel Consiglio d’istituto. Il termine per la presentazione delle liste dei candidati (nel caso di specie, dei docenti e degli ata) è ampiamente scaduto. Di certo, non può trattarsi di proroga, peraltro addirittura riservata ai docenti e agli ata. Né può esserci proroga per le liste dei rappresentanti dei genitori degli alunni e dei rappresentanti degli studenti (i genitori degli alunni e gli studenti voteranno nei giorni già stabiliti, mentre i docenti e gli ata voteranno nei giorni che saranno stabiliti dalla nuova indizione delle elezioni sempre che ciascuna lista dei candidati – fino a 16 per la componente docenti  e fino a 4 per la componente ata (ma ciascuna lista potrebbe essere di poche unità) – sia stata presentata “da almeno 20 sottoscrittori di lista non candidati”. Augurando comunque al preside si riuscire a convincere i docenti e gli ata (anche se soltanto in parte sufficienti) a partecipare alle elezioni per il rinnovamento del Consiglio d’istituto. Restando comunque un segno evidente del disagio e della protesta dei docenti e degli ata l’avvenuta non candidatura per il Consiglio d’istituto.
 
L’impropriamente definita “buona” scuola da una cerchia di politici che l’hanno sbandierata come tale è risultata pessima, il peggio, e di gran lunga, rispetto alla scuola degli ultimi decenni, nonostante le carenze, anche sul piano della sicurezza, peraltro accresciute negli anni recenti, che continuano a crescere nei nostri giorni, addirittura per acquistare la carta igienica. All’Istituto superiore “Capizzi” di Bronte, comune collinare a nord-ovest del vulcano Etna, in provincia di Catania, la tragedia è stata fortunatamente evitata il 10 novembre. Durante la ricreazione, quando gli studenti e i docenti erano fuori dall’aula del plesso di viale della Regione, è crollato l’intonaco sovrastante la cattedra. Ebbene, poiché sono ben note le moltissime condizioni di crollo soprattutto in aree sismiche e le tantissime inadempienze del governo, delle regioni e dei comuni, è certamente un grave rischio, una gravissima responsabilità, e non soltanto per i docenti e per il personale ata, fare parte di un Consiglio d’istituto. A parte il fatto che, come Polibio ha avuto modo di rilevare, nelle copie dei verbali, fonti primarie, che gli vengono inviate esistono redazioni sulle quali ci sarebbe molto da discutere, tanto da rendersi evidente, comunque non sempre, la decisa “volontà” di determinati dirigenti scolastici. E non ci sarebbe da meravigliarsi se qualcuno dei docenti chiamato a svolgere la funzione di segretario verbalizzante avesse a decidere di non volerlo fare. Responsabilità penali gravano, infatti, sul segretario verbalizzante, soprattutto se venisse provata da qualcuno dei partecipanti alla seduta del Consiglio d’istituto (lo stesso dicasi per le sedute del Collegio dei docenti), che da presente alla seduta ha registrato il tutto utilizzando il suo cellulare, la non corrispondenza con gli interventi svoltisi e addirittura “l’invito” di un cosiddetto “preside-padrone” a scrivere diversamente.
 
E di “presidi-padroni” purtroppo ce ne sono stati e sembra che continuino a essercene. E di sentenze della magistratura del lavoro ce ne sono tante che hanno riguardato la violazione delle norme del contratto collettivo nazionale di lavoro. Sentenze che hanno annullato le sanzioni della sospensione dal servizio e dalla retribuzione da uno a dieci giorni comminate da dirigenti scolastici ai docenti. Eppure, c’è qualche associazione di dirigenti scolastici, o qualche rappresentante di essa, che manifesta la “volontà” di non doversi affatto attenere alla giurisprudenza consolidata (e addirittura formula una strana sorta di censura all’Avvocatura dello Stato). In particolare – con riferimento “al maggior sindacato di comparto” (c’è da ritenere che si tratti della Flc-Cgil, “sito regionale della FLC CGIL Puglia”, che ha riportato la recente sentenza n. 7331/2016 del giudice del lavoro di Foggia), e continuando con un satirico-ironico (o forse livoroso) “c’è da augurarsi che a breve si affiancherà il resto della Pentiate”, la cui interpretazione è lasciata al lettore –, è stato evidenziato che quel maggior sindacato di comparto “non ha perso tempo per esprimere particolare soddisfazione per l’esito di una sentenza che ridimensiona il potere disciplinare del dirigente scolastico premia il ruolo del sindacato in difesa delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola, cui saranno subito fornite tutte le informazioni dettagliate e specifiche per i diversi territori”. E subito dopo ha esclamato un “nient’affatto” per quanto concerne, da parte dei dirigenti scolastici, “l’attenersi a quella che si vorrebbe considerare oramai una giurisprudenza consolidata”. Insomma, viene “rivendicato” dall’associazione di quei presidi (e con un “nient’affatto” viene precisato che i dirigenti scolastici non devono attenersi “a quella che si vorrebbe considerare una giurisprudenza consolidata”) il “potere” di “violare” il Contratto collettivo nazionale del comparto scuola (articoli 91-97, in particolare gli articoli 91, 93 e 94) e di infliggere sanzioni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione da uno a dieci giorni. Magari una dopo l’altra, anche concatenate senza interruzione. Presidi-padroni?
 
D’altra parte, proprio a Foggia ci sono state interessanti sentenze, alcune delle quali già di ampia diffusione (per esempio, la sentenza n. 2762 del 4 ottobre 2016 già presenti nei siti scolastici e di diritto scolastico gildavenezia, associazione nazionale docenti, dirittoscolastico, retescuole, aetnascuola; altre tuttora ignote (chissà perché e chissà chi riguardano) sebbene esistenti; altre ancora in attesa di decisione, tra cui quella, in palese violazione del Contratto collettivo nazionale del comparto scuola, che ha riguardato la dsga di una scuola proprio di Foggia (sembra che ci siano documenti alquanto interessanti e addirittura registrazioni, tanto da potersi scrivere un romanzo dal titolo “Cinquanta sfumature di giallo”, avvalendosi di ampia e particolare documentazione.
 
Oltre alla Puglia, e in particolare a Foggia, anche in Calabria, nella scuola secondaria superiore di un comune in provincia di Reggio Calabria – così con riferimento a documenti, fonti primarie, già acquisiti e in parte, stranamente, non concessi dal dirigente scolastico all’insegnante con formale negazione del diritto di accesso agli atti, e quindi in palese violazione del comma 5 dell’articolo 93 del Contratto collettivo nazionale del comparto scuola,  nonché alle lettere della Flc-Cgil inviate anche al D.G. dell’Ufficio scolastico regionale, con sede a Catanzaro – ci sarebbe molto da chiarire, anche e soprattutto attraverso ispezioni da parte dell’Ufficio scolastico regionale. Adesso, soltanto per fare un riferimento a verbali del Collegio dei docenti (addirittura dati per “redatti” durante i Consigli da parte della segretaria verbalizzante e sottoscritti dal dirigente scolastico), ci sono verbali chilometrici sui punti all’o.d.g. “che vengono approvati all’Unanimità redatto il verbale la seduta è tolta alle ore 11,30” (inizio ore 10) e con inizio ore 10 e redatto verbale e seduta tolta alle ore 11,15). Rispettivi ordini del giorno con 17 e 24 punti. Ed è alquanto strano che alla richiesta di una docente “di pubblicare sul sito della scuola i verbali degli organi collegiali e le circolari di interesse dei docenti” si sia verificata, “per alzata di mano”, “la disapprovazione all’Unanimità”. E ci sono state anche contestazioni disciplinari in palese violazione delle norme del Contratto collettivo nazionale del comparto scuola, con particolare riferimento al negato accesso agli atti.
 
Ritornando alla scuola secondaria superiore di un comune della provincia di Catania, dove nessuno dei docenti e del personale ata si è candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio d’istituto, triennio 2016-2019, emblematica, e quindi rappresentativa dello stato di disagio dei docenti e del personale ata, è stata la loro determinazione. A parte la gestione di scuole ridotte alla miseria, c’è da considerazione che negli ultimi sette anni, fermi restando gli stipendi e in mancanza di rinnovo del Contratto collettivo nazionale, sono stati sottratti al personale della scuola (docenti e ata, oltre un milione di unità lavorative) 15 miliardi di euro (e in quest’ultimo anno la perdita mensile potrebbe ammontare da 140 e 200 euro in ciascuna busta paga mensile, che moltiplicata per 13 mensilità risulterebbe da 1.720 a 2.600 euro. Per i docenti c’è stato il recentissimo bonus (come intenderlo?) annuo di 500 euro, spesa certificata, per aggiornamento (si tratta di un euro e trentasette centesimi al giorno: 1,37!). Se poi si passa al riconoscimento del merito sulla base di criteri “astrattamente” definiti, ci sono scuole nelle quali oltre la metà dei docenti non ha avuto un centesimo di euro e altre dove c’è “chi” è “arrivato” a quota mille. Molti, tra gli “accontentati”, hanno avuto da 80 a 150 euro, ossia 219, 274, 412 millesimi di euro al giorno, a cui corrispondono, rispettivamente, 80, 100, 150 euro in uno dei 365 giorni dell’anno, sempre con tasse da pagare incluse. Si tratta dell’elemosina ai docenti. Una vergogna alla quale i docenti potrebbero rispondere, trattandosi di 22, 27, 40 centesimi di euro al giorno, con sonore pernacchie. E magari spargendo i pochi centesimi di euro giornalieri di elemosina nei cortili e all’ingresso delle scuole. Comunque, come hanno fatto i docenti della scuola secondaria superiore in uno dei comuni della provincia di Catania, con l’adesione del personale Ata, a non candidarsi alle elezioni per il Consiglio d’istituto.
 
Polibio                                                                                                                                             
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Utilizzo illegittimo del titolare in altro ordine di scuola
 Lucio Ficara , La Tecnica della scuola 9.11.2016
Si tratta di un caso che ha dell’incredibile e che pare non essere nemmeno l’unico. Una Ds assegna, ad una titolare della secondaria, un completamento cattedra alla primaria.
In sostanza una docente titolare da anni alla scuola secondaria di primo grado di un Istituto Comprensivo della Calabria, è stata dirottata, a novembre inoltrato, per 3 ore settimanali a fare compresenza alla primaria. Si tratta di una docente di lingua inglese titolare al primo grado, che secondo la Ds può comodamente completare alla primaria affiancando la docente di lingua inglese.
La Ds, interpretando la legge 107/2015 in modo molto personale e creativo, decide di spezzare a metà il posto di potenziamento di inglese assegnato alla scuola secondaria di primo grado, riservando 9 delle 18 ore alla primaria.
Premettendo che l’organico dell’autonomia di tale Istituto Comprensivo calabrese prevede 2 cattedre di diritto di inglese e un posto di potenziamento sempre su inglesela Ds decidecontro la legge e senza l’avallo degli organi collegiali, di assegnare a tre docenti di inglese, tutte e tre titolari alla secondaria di primo grado, 12 ore di lezione frontale alla scuola media, 3 ore di potenziamento alla media e infine altre 3 ore di potenziamento alla primaria. In buona sostanza l’assegnazione prevede l’insegnamento di 15 ore alla scuola secondaria di primo grado e 3 ore alla scuola primaria.
Questo modo di assegnare i posti è illegittimo, perché viene modificato l’organico dell’autonomia senza che ci siano state modifiche nell’organico di fatto.
Un comportamento di questo tipo, non solo è illegittimo perché utilizza un titolare di un ordine di scuola in altro ordine, ma, in tale modo di agire, si configura anche il rischio di un danno erariale. Infatti le docenti di inglese sono pagate per svolgere 18 ore nella scuola secondaria di primo grado, mentre con il decreto della Ds ne svolgeranno solo 15, le altre 3 sarebbero decurtate illegittimamentee svolte arbitrariamente in un ordine di scuola che ha un altro organico dell’autonomia.
Quindi appare, per i motivi su esposti, illegittimo il decreto di assegnazione dei posti e delle classi fatto da questa Ds. Purtroppo si registrano anche altri casi di assegnazione ai posti altrettanto illegittimi, infatti in alcune scuole i Ds destinano nelle cattedre orario esterne docenti che invece avrebbero il diritto di restare titolari sui posti interni alla scuola. Quindi è importante fare attenzione ai decreti di assegnazione dei docenti alle classi e reclamare in caso di queste illegittimità.
Il Miur sul tema dell’organico dell’autonomia e sull’utilizzo del potenziamento aveva promesso la pubblicazione, entro questa settimana, di alcune decine di faq. Ancora sul sito del Miur non si sono viste tali faq, attendiamo con curiosità queste domande sul potenziamento con relative risposte tecniche del Miur.


Preside del Principe Umberto di Catania condannata ad un anno e 4 mesi / mini dossier
di Vincenzo Pascuzzi , ReteScuole  11.10.2016
L’ex dirigente scolastica della primaria Duca d’Aosta di Monfalcone, Maria Raciti, aveva un metodo piuttosto originale per convincere i sottoposti a fare quello che lei disponeva: li convocava nella sua stanza e chiudeva a chiave la porta facendo sparire le chiavi.
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Preside del Principe Umberto condannata ad un anno e 4 mesi
7 ott 2016 – 17:44
CATANIA – Oggi, mentre tanti studenti catanesi scendevano in strada per protestare, una notizia che ha del clamoroso ha sconvolto un’intera scuola, e non solo: la preside del Principe UmbertoMaria Raciti, è stata condannata, in primo grado, ascontare una pena di un anno quattro mesi e quindici giorni, e a pagare una multa di 10 mila euro.

Cerchiamo di capire cos’è successo.

I fatti in realtà risalgono all’anno scolastico 2010-2011, quando la donna era preside nella scuola elementare Duca D’Aosta di Monfalcone.

Violenza privata aggravata e omissione di soccorso. In altri termini la preside, durante i suoi colloqui, aveva l’abitudine dichiudere a chiave la stanza, minacciando pesantemente i docenti.

Una volta una maestra si è anche sentita male a causa di questa situazione; un collega ha chiamato il 118 e la Raciti ha prontamente richiamato per bloccare il soccorso. Ecco perché la condanna, anche, per omissione di soccorso.

Adesso però veniamo a noi, torniamo in Sicilia e vediamo come l’hanno presa gli studenti.

Abbiamo parlato con i rappresentanti d’istituto: Marco Vasta, Rosario Censabella, Rebecca L’Abbate e Attilio Modica.

La preside la conosciamo, non siamo stupiti noi, non sono stupiti i ragazzi. Attenzione però, questo non significa che non siamo dispiaciuti. Anzi, lo siamo eccome, non tanto per lei, quanto più per l’immagine della nostra scuolache ne risentirà parecchio“.

I docenti invece?

Abbiamo parlato con un professore oggi: è dispiaciuto perché è una cosa che uno non si augurerebbe succedesse in nessuna parte d’Italia. Molti professori però, ci dispiace dirlo, non sono particolarmente coinvolti nella vita scolastica, pensano al proseguimento della loro carriera e basta. Fortunatamente c’è una percentuale di prof. che nuota controcorrente“.

In effetti però, scambiando quattro chiacchiere con i ragazzi veniamo a sapere che la Raciti non è nuova ad azioni un po’ curiose.

Infatti, solo l’anno scorso si sono verificate vicende ai limiti, e forse un po’ oltre, della legalità: per esempio un bel giorno ha deciso di non aprire la scuola, onde evitare l’occupazione che gli studenti avevano in programma di organizzare “non garantendo il servizio pubblico”, come hanno tenuto a sottolineare i rappresentanti.

Tutto qui?

Assolutamente no, il giorno dell’open day c’erano membri della Digos in borghese che si spacciavano per genitori. L’anno scorso ha mancato a delle promesse che ci aveva fatto: uscita anticipata e finanziamenti per la giornata dell’arte e creatività,abbiamo dovuto fare tutto da soli“.

Adesso, la domanda che tutti ci poniamo la rivolgiamo ai rappresentanti d’istituto: indipendentemente dall’esito del processo, secondo voi, si dimetterà?

“Conoscendola… no“.

E come vi muoverete?

Diciamo che aspetteremo che faccia la prima mossa, speriamo in qualche comunicato o in una lettera aperta agli studenti, poi vedremo che fare, stiamo pensando ad un’assemblea aperta“.

http://www.newsicilia.it/cronaca/preside-principe-umberto-condannata-ad-anno-4-mesi/184219

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«Chiusi a chiave e minacciati dalla preside»

L’ex dirigente scolastica Raciti, assieme allo staff, sul banco degli imputati dopo la denuncia di alcuni dipendenti e docentidi Roberto Covaz

16 ottobre 2015
Tutti gli strafalcioni del Concorso scuola
di Francesca Angeli , Il Giornale, 4.10.2016
Dalla docente promossa in Cinese che però aveva sostenuto la prova per insegnare alle elementari a quella bocciata agli scritti ma poi ripescata per fare la commissaria d’esame agli orali con il compito di valutare chi aveva superato il test
 
L’ultima cantonata del Concorsone è surreale. Segnalata da una maestra che dopo aver partecipato ai test per la primaria ha ricevuto la buona notizia di aver superato brillantemente la prova scritta.
 
Sì ma di Cinese. Un errore che si è ripetuto per più candidati visto che l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio (ex Provveditorato) il 29 settembre scorso ha annullato tutte le convocazioni per la prova orale di Cinese, segnalando che erano state inviate «per mero errore materiale». Già ma di quanti «meri errori materiali» è stato costellato il percorso del Concorsone? Certo è difficile che un’impresa avviata con il piede sbagliato possa poi imboccare la strada giusta e raggiungere il traguardo con successo. E così infatti è stato per l’ultimo concorso che metteva a disposizione oltre 60.000 cattedre, indetto dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, che tra errori macroscopici e irregolarità appare come la prova più lampante della verità della Legge di Murphy , ovvero “Se qualcosa può andar male, lo farà”.
 
È iniziato sotto una cattiva stella perché di questo concorso in realtà non si sentiva alcun bisogno una procedura complessa e mastodontica dato il gran numero di classi di concorso e candidati, oltre 165.000, che il ministero non è stato in grado di affrontare. Il primo errore è stato di natura etico politica. Il governo presentando la Buona Scuola nel 2014 aveva promesso di eliminare il precariato (un impegno impossibile da mantenere: ma tanto promettere non costa niente) ed ha comunque varato un piano straordinario di assunzioni per 150.000 docenti mantenendo poi la promessa soltanto per la metà, circa 80.000 docenti che hanno avuto una cattedra grazie a quella che è stata a tutti gli effetti una sanatoria.
 
Migliaia di docenti sono rimasti fuori e pur avendo gli stessi identici diritti di quelli entrati sono invece dovuti passare attraverso le forche caudine di un nuovo concorso e per molti si tratta del secondo o del terzo percorso abilitativo. Subito sono emerse evidenti difficoltà. La procedura è partita in ritardo il Bando sarebbe dovuto arrivare entro il 1 dicembre 2015 ma così non è stato ed è slittato a febbraio. Gli Uffici regionali sono andati in affanno per reperire sedi e computer e soprattutto i commissari che a causa della retribuzione troppo bassa a fronte di un impegno gravoso non sono accorsi a frotte.Si arriva finalmente allo svolgimento delle prove e si accumulano denunce per irregolarità anche per la gestione delle parte informatica visto che i pc si impallano Sotto accusa finisce ancora una volta Cineca consorzio che gestisce la parte informatica dei concorsi ministeriali. Il programma Cineca utilizzato per la prova computer based presenta dei problemi a livello di programmazione e per questo motivo spesso si blocca. Molti docenti hanno dovuto rispondere nuovamente alle domande. Va ricordato che il Consorzio Interuniversitario per la gestione del centro di calcolo elettronico è finito in passato più volte nel mirino dell’Antitrust in particolare per alcuni strafalcioni informatici che avevano inficiato il regolare andamento dei test di specializzazione di Medicina.
 
Agli errori si aggiunge la lentezza nella correzione delle prove e dunque già a fine giugno si era compreso che le procedure non si sarebbero mai chiuse per tempo e che dunque anche l’inizio di quest’anno scolastico sarebbe stato segnato dall’arrivo di centinaia di supplenti per coprire le cattedre in attesa di titolare. Non solo. Con il progredire del processo di correzione emerge un altro problema non da poco. La metà dei candidati non supera la prova scritta dunque ci saranno cattedre scoperte perché sono troppo pochi gli insegnanti che supereranno le prove. Potrebbe apparentemente esserci un aspetto positivo. Ovvero quello di una selezione durissima che porterà in cattedra soltanto i migliori. Ma non è così. Quando la cattedra è scoperta si chiama un supplente e quel supplente sarà probabilmente uno di quelli bocciati agli scritti del Concorso, che è in ritardo e non ha fatto in tempo a concludere le selezioni e dunque in cattedra finisce quello bocciato. Chiaro il paradosso? E in alcuni casi sono stati gli stessi docenti bocciati agli scritti a segnalare che erano stati chiamati come commissari d’esame all’orale dunque per valutare la preparazione di professori promossi a prove nelle quali l’esaminatore agli orali era stato bocciato.
 
Tuttoscuola che sta monitorando la chiusura della graduatorie rilevava due giorni fa che su 1.484 graduatorie 636 quindi il 42 per cento mancava ancora all’appello. A causa delle bocciatura circa 20.000 posti risulteranno vacanti non coperti. Un bel risultato soprattutto dopo aver imbastito il can can del Concorso. È troppo anche per le più pessimistiche previsioni di Murphy: se si punta ad una selezione occorre che la macchina organizzativa sia efficiente.


Vengo anch’io? No, tu no
di Alessandro Palmi, Quando suona la campanella, 25.9.2016
– La scuola zoo ai tempi della 107 – 
Inizia il nuovo anno scolastico e al primo Collegio scopro che circa il 20% dei docenti presenti è provvisorio (tra qualche giorno cambierà scuola), mentre un altro 20% manca del tutto. La questione dell’organico emerge quindi come uno dei temi principali della “nuova scuola”, anche se non so quanto effettivamente sia l’elemento cruciale del quadro o quanto si tratti di un effetto moltiplicato soprattutto dal momento iniziale. Fatto sta che il tema occupa larga parte dei discorsi che si sentono in giro, dai corridoi delle scuole ai siti specializzati e, nonostante non abbia ben chiara la situazione, credo che molti di coloro che millantano certezze assortite in realtà stiano brancolando nel buio.
– Quali saranno i docenti nel “luminoso scenario” inaugurato dalla legge 107? Proviamo a passarli in rassegna. Avremo ancora i docenti cattedra (quelli di prima insomma); poi ci saranno i docenti del “potenziamento” (i “potenziatori”, come li chiama qualcuno); poi i docenti titolari su scuola; infine quelli appartenenti agli ambiti territoriali, destinati a un contratto triennale e a una sorta di chiamata diretta dei dirigenti. Mica male! Ma in realtà è molto probabile che le reali tipologie siano ancora più numerose, nascendo dall’incrocio di queste due ultime variabili,come ad esempio potenziatori titolari su scuola o docenti con cattedre miste.
Intorno a questa situazione stanno fiorendo varie teorie e interpretazioni della Vera riforma, relative cioè a capire chi dovrà decidere quale docente starà in quale situazione. C’è chi – al riparo del confuso ombrello normativo che risponde all’“organico dell’autonomia” – sostiene che i dirigenti scolastici possano (e debbano) fare e scegliere chi e ciò che gli aggrada. Chi sostiene le prerogative degli organi collegiali. Chi pretende che le “vecchie” cattedre non si tocchino. Chi dice che i “potenziatori” saranno solo provenienti dagli ambiti territoriali e non su scuola. Chi ancora pare convinto che l’essere stati assunti nella famigerata “fase C” dello scorso anno equivalga ad un marchio perenne che rende tali docenti “potenziatori a vita”. Chi dice “certo, siamo tutti/e uguali… ma le ‘mie’ ore non si toccano”. Infine, c’è soprattutto chi non si pone problema alcuno, rimanendo in una beata ignavia (e tale rimarrà almeno fino al momento in cui un ds particolarmente fantasioso non si inventerà qualcosa che lo scuoterà dal suo torpore).
Come confrontarci con questa caotica e drammatica situazione che si prospetta?
Personalmente parto da poche certezze, ma di sicuro so che non sono interessato a trovare una interpretazione autentica a priori della Legge 107 e, men che meno, mi interessa dare una mano a far funzionare questi cambiamenti. La caotica situazione è il logico frutto della stupidità e del pressapochismo di una legge che pretende di cambiare la nostra già agonizzante scuola mescolando banali elementi di pseudo-novità con elementi gerarchizzanti che nulla hanno a che vedere con una buona didattica né con il reale funzionamento di una scuola che sia davvero “buona”.
Noi, che ci opponiamo a tale deriva, dovremmo essere capaci in questo momento di mettere in campo la capacità di analizzare la realtà che si va prefigurando, comprendendo quali conseguenze i suddetti cambiamenti potranno avere sulla vita scolastica, soprattutto in relazione alla nostra idea di scuola. Un’idea di scuola che non deve lasciare spazio a logiche di gerarchizzazione e a difese neo-corporative di presunti diritti acquisiti. Dobbiamo assolutamente impedire che si crei nei prossimi anni una fascia di docenti paria che, insieme alla chiamata diretta, diventerebbe l’elemento cardine volto a smantellare una visione di scuola cooperativa e collegiale, tesa a sviluppare cittadinanza critica.
Facile a dirsi ma non facile a farsi. Non pretendo di dare risposte in queste righe, mi accontenterei di contribuire a una discussione collettiva che aiuti tanti nostri colleghi ad uscire dal buco entro il quale si stanno rintanando. Perché – se non riusciremo ad invertire questa tendenza a schierarsi con le singole categorie – i frutti avvelenati della 107 matureranno; tutti noi ci ritroveremo invischiati nel pantano di una scuola dove “potenziatori”, ambiti, chiamate dirette, arbitrii dirigenziali, premi ai “meritevoli” e tutto il resto costruiranno un sistema di relazioni e di lavoro che ancora non riesco bene ad inquadrare, ma che so già non mi piacerà.
Il mio è uno spunto: chi ci sta a ragionarci sopra?
 

Scuola, cronache bestiali della prima settimana sui banchi: dalle classi pollaio agli stranieri non ammessi

di Alex Corlazzoli,  Il Fatto Quotidiano  18.9.2016 
Da nord a sud le storie dell’Italia che torna sui libri. Da Roma a Savona, fino a Bologna: gli ostacoli quotidiani di dirigenti, insegnanti e genitori che sono pronti a tutto pur di farsi sentire dallo Stato
A Bologna venti alunni stranieri sono ancora in cerca di una classe. A Roma, quartiere Testaccio, il primo giorno di scuola c’erano undici studenti in più rispetto al previsto. In provincia di Savona i genitori hanno anticipato tutti: hanno tenuto i figli a casa e scioperato contro l’accorpamento delle sezioni. A Crema il problema è ancora più concreto: mancano le sedie e la lezione d’esordio si è svolta per terra tutti seduti in cerchio. Eccole le cronache bestiali della prima settimana sui banchi in Italia: da nord a sud dirigenti, genitori e insegnati, ma anche sindaci, sono pronti a tutto per farsi sentire dallo Stato. Paradossi di un Paese dove si passa dal sovraffollamento delle aule alla storia di Ingrid che ha tre maestre solo per sé.
 
Bologna, per gli stranieri non c’è posto
Cercansi sedia e banco per bimbi migranti. E’ l’appello che Filomena Massaro, dirigente dell’istituto comprensivo 11 e 12 di Bologna, scuola polo per l’accoglienza dei minori stranieri, ha lanciato ai colleghi della zona Savena e Santo Stefano. La preside da giovedì 15 settembre cerca una collocazione per venti alunni dai 6 ai 16 anni che non hanno potuto ancora conoscere i compagni: non si trova un posto.
 
Massaro da giugno ad oggi ha gestito circa 45 ingressi. Una buona metà di questi sono stati collocati ma non per tutti si è trovata una soluzione: gli istituti sono saturi. “Stando alla normativa sulla sicurezza delle scuole”, spiega la dirigente, “ovvero sulle capienze massime previste in ogni aula, i colleghi dirigenti della zona di Savena e Santo Stefano, hanno già raggiunto il numero massimo di alunni e non possono accoglierne altri. Non ci resta che guardare a scuole più lontane ma le famiglie si muovono con mezzi pubblici, non è facile spostarli dal quartiere di residenza. Questi venti bambini non sono potuti andare a scuola i primi due giorni, speriamo che lunedì inizino regolarmente le lezioni”.
 
La dirigente scolastica conosce bene la questione: “Per quanto si possa cercare di prevedere i ricongiungimenti sono comunque dati parziali; ci sono, per esempio, anche i ragazzi non accompagnati. Non c’è inoltre un periodo di arrivo. Dobbiamo pensare a strutture flessibili che consentano di accogliere i nuovi alunni: le classi non possono essere costituite solo da alunni stranieri ma deve esserci la possibilità di un periodo di formazione sulla lingua che consenta nel frattempo di trovare anche una loro collocazione”.
 
Roma, in aula in 32: “Colpa della burocrazia”
Alla scuola media “Cattaneo”, nel quartiere Testaccio (Roma), la scuola è iniziata lunedì 12 settembre e per 32 bambini “primini” il benvenuto è stato un’aula pollaio. Tutti, tra cui tre disabili, nella stessa classe. Secondo quanto riportato dai giornali locali si tratta di un problema burocratico: al momento delle iscrizioni gli alunni erano 21 e l’ufficio scolastico regionale ha assegnato alla scuola una sola sezione. A giugno sono arrivate altre tredici bambine dall’Accademia nazionale di danza. L’istituto ha comunicato immediatamente il nuovo dato agli uffici competenti ma non c’è stato niente da fare. Ora i genitori sono pronti a dare battaglia e a ricorrere al Tar.
 
Sassello, tutto il paese in sciopero per salvare la classe
Pronto a fare ricorso al Tar è anche il primo cittadino di Sassello, 1.830 abitanti, in provincia di Savona. L’ufficio scolastico regionale ha accorpato le classi della secondaria di primo grado e i genitori di tutte le scuole hanno lasciato i figli a casa il primo giorno di scuola. La battaglia di pochi è diventata la lotta di tutti: “Fino allo scorso anno avevamo tre classi. Quest’anno il numero degli studenti non è cambiato ma hanno formato due sezioni costringendoci ad una pluriclasse. Ufficialmente – spiega il sindaco Daniele Buschiazzo– ci hanno detto che ci sono pochi insegnanti; abbiamo chiesto l’accesso agli atti per comprendere cos’è accaduto. Non c’è una logica in questa decisione. Mettiamo a bilancio circa 180mila euro l’anno per le scuole e 52mila euro per l’asilo nido. Mantenere questo servizio nell’entroterra è essenziale, ma ci scontriamo con queste logiche ragionieristiche. Questa è una battaglia condivisa da tutto il Paese. La scuola ha un valore fondamentale. Siamo pronti a impugnare l’atto dell’Usr e a ricorrere al Tar se non ci daranno delle risposte”.
 
Crema, ci sono i bambini ma mancano i banchi
C’è anche chi ha fatto lezione senza sedie e banchi. La classe terza “A” della primaria del quartiere Sabbioni, lunedì è arrivata in aula ma l’ha trovata vuota. Per il primo giorno si sono dovuti adattare a fare lezione a terra. Immediata l’ira del Comune che se l’è presa con i docenti colpevoli di non aver spostato i banchi in surplus da una stanza all’altra. Un’accusa che il dirigente Pietro Bacecchi respinge al mittente spiegando cosa è accaduto: “Quest’anno siamo partiti con una classe in più perciò servivano dei banchi e delle sedie. Avevamo segnalato la necessità al Comune dal mese di maggio. Mi aspettavo che arrivassero in tempo ma così non è stato. L’insegnante ha pensato di ovviare al problema facendo sedere i bambini a terra e andando in cortile. L’assessore all’istruzione ha puntato il dito contro di noi, dicendo che avremmo dovuto chiedere scusa ai genitori, dicendo che i banchi erano persino in eccedenza ma quelli in più erano solo cinque: non si poteva certo far sedere cinque bambini e lasciare in piedi gli altri. Ci hanno detto che avremmo potuto usare i tavoli della mensa ma non si potevano spostare visto che erano già stati sanificati dall’azienda che eroga il servizio di ristorazione. Era da quattro mesi che avevo segnalato le necessità. Tra l’altro anche alla secondaria sono arrivati in ritardo di dieci giorni”.
 
Trasquera, un’alunna e tre maestre
La più fortunata è lei: Ingrid, dieci anni è in quinta elementare e ha tre maestre e una scuola tutte per lei. A Trasquera (Verbano), 380 abitanti che d’inverno vivono lontani da tutti e tutto a causa della neve e del ghiaccio, nessuno si lamenta. Il Comune non può permettersi uno scuolabus e nemmeno pagare un autista ma il sindaco Arturo Lincio e i suoi concittadini difendono a spada tratta la loro “scuolina” che secondo le previsioni demografiche tra qualche anno arriverà ad avere nove iscritti. Sempre che nel frattempo qualcuno non decida di trasferirsi.


La Buona scuola che non c’è. Dalla preside nel caos della chiamata diretta alla prof che deve rinunciare a insegnare
di Alex Corlazzoli,  Il Fatto Quotidiano  12.9.2016 
La dirigente scolastica di Cremona: “I risultati del nuovo metodo per le assunzioni dettato della Legge 107 sono questi: avevo scoperti 11 posti e sono riuscita solo a coprirne, con la chiamata diretta, solo due. Per non parlare del problema sul personale Ata”. L’insegnante di Viterbo mandata in Val Cadore: “Ho chiesto la conciliazione e mi hanno proposto Vicenza. Non ho potuto far altro che chiedere l’aspettativa per non lasciare i miei figli”. La ministra Giannini: “Consapevoli di una macchina complessa ma soddisfatti”
Dietro i numeri e le parole restano le storie: quelle di chi lunedì mattina, nonostante le lamentele, le proteste, ha dovuto avviare l’anno scolastico e garantire le lezioni agli studenti oppure quelle di quei docenti che al netto dello sfogo sui social network, della rabbia e delle conciliazioni, hanno dovuto rinunciare al posto di lavoro per non dividere la propria famiglia. La ministra Giannini, che 12 mesi fa aveva assicurato la messa a regime della riforma entro il 2016, ora dice: “Per il tagliando attendiamo il prossimo anno, ma possiamo dire di essere soddisfatti e naturalmente consapevoli di una macchina complessa che nell’arco delle prossime settimane, come ogni anno, andrà a pieno regime con tutti quei dettagli che come ogni anno chiedono organizzazione”. Intanto, però, in molte scuole italiane l’anno scolastico si è aperto con orari ridotti e accorpamenti delle classi. Ecco due storie che raccontano il problema della “chiamata diretta” dal punto di vista di una preside alle prese con buchi nell’organico (secondo lei questa soluzione non risolve i problemi). E poi quella di una professoressa madre di due figli che è stata mandata all’improvviso (e dopo anni di precariato) dall’altra parte d’Italia. Lei non può lasciare la famiglia e proprio a un passo dalla promessa stabilizzazione è costretta a mettere in un angolo il suo lavoro.
LA PRESIDE: “LA CHIAMATA DIRETTA NON MI HA RISOLTO I PROBLEMI DI ORGANICO” – Un viaggio nella realtà quotidiana, nella provincia, per toccare con mano le difficoltà di chi come Roberta Mozzi, dirigente dell’Itis “Torriani” di Cremona, ha dovuto fare i conti con l’inutilità della chiamata diretta: “Abbiamo iniziato con diverse cattedre scoperte e l’acqua alla gola. I risultati del nuovo metodo per le assunzioni dettato della Legge 107 sono questi: avevo scoperti due posti di filosofia, uno di matematica, uno di scienze, quattro di meccanica, due di laboratorio di informatica e uno di chimica. Di tutti questi sono riuscita solo a coprire, con la chiamata diretta, due posti. Per l’insegnamento di filosofia avevo dei curricula che non mi interessavano eppure mi hanno assegnato d’ufficio gli stessi che avevo scartato: erano gli unici a disposizione dell’ambito. Mi servivano persone che insegnassero filosofia della scienza mentre questi sono laureati in pedagogia. Non solo. Di queste due persone una viene da Palermo, da cinque anni lavora a Leno (Brescia). Aveva messo l’ambito di Cremona come quattordicesimo ma nonostante vi sia il posto a Leno è stata assegnata al “Torriani”. Ora farà domanda di assegnazione provvisoria; è facile che tornerà dove insegnava lo scorso anno e io avrò di nuovo un posto scoperto. L’altra cattedra è a scavalco tra due ambiti come non dovrebbe essere. Non basta. Sul sostegno è arrivato un docente da Teramo che giustamente ha chiesto l’assegnazione nella sua città. Il resto non mi è stato assegnato perché non c’erano risorse nell’ambito. Venerdì scorso alle 18 l’ufficio scolastico regionale ha pubblicato una nota in cui il ministero dovrebbe nominare in nomina dalle Gae e dal concorso (finalmente concluso) del personale sui posti scoperti dando a noi il compito di concludere tutte le operazioni entro mercoledì: in queste ore dovremmo rifare la nuova chiamata diretta in quattro giorni”. Una situazione delirante anche sul fronte Ata: “Siamo sotto organico da anni. Al ministero ragionano sul numero degli studenti e non sulla metratura della scuola. Hanno fatto passare i bidelli sull’amministrativo senza un solo corso di conversione. Un esempio: l’addetta al personale della mia segreteria ha cambiato sede e al suo posto è arrivato un tecnico che ha fatto il passaggio di qualifica. Peccato che fino allo scorso anno faceva la cuoca nel corso di cucina in un professionale. Mi mancano almeno cinque bidelli. Non parliamo del bonus di valorizzazione del docente: per ora non è arrivato un solo centesimo di euro”.
L’INSEGNANTE MANDATA DALL’ALTRA PARTE D’ITALIA: “RINUNCIO” – In qualche scuola, invece, lunedì mattina non si presentato il docente. E’ rimasto a casa, senza stipendio, senza lavoro, per garantire la serenità della famiglia. Un caso per tutti: quello di Roberta Russo, mamma docente di educazione musicale finita ufficialmente in Cadore da Viterbo. “Dopo 17 anni di precariato – racconta Roberta – svolto lavorando in giro per la mia provincia sono stata assunta in ruolo con la 107. Sono madre di due figli, un giovane adolescente e un bimbo di nove anni, moglie di un marito anch’egli in mobilità. Non sono più tanto giovane, ho 45 anni e ho già fatto delle scelte di vita che devo portare avanti per non destabilizzare la famiglia che ora è divisa grazie agli errori di un algoritmo che ha deciso le nostre vite”. La sera del 3 agosto, dopo giorni di attesa snervante, è arrivato l’esito della mobilità per Roberta: da Viterbo in Veneto, Cadore. “Una doccia fredda, se non fosse che mi sono resa conto – spiega la professoressa – che tutti i miei colleghi sono rimasti nella provincia. Dei 14 immessi in ambito Viterbo, ben nove di loro hanno un punteggio inferiore al mio. Mi sono rivolta immediatamente al sindacato e insieme abbiamo chiesto delucidazioni. Risultato: nessuno dei colleghi ha titoli preferenziali, è chiaramente stato un errore dell’algoritmo impazzito! Ho fatto immediatamente domanda di conciliazione, spiegando le mie valide motivazioni, ho atteso i minuti, le ore. Nel frattempo è arrivato il momento di prendere servizio e così sono dovuta partire il 31 agosto nella scuola assegnatami d’ufficio a Domegge di Cadore. Mentre ero in viaggio mi è arrivata la comunicazione dall’Usr del Lazio di presentarmi il giorno 1 settembre alle 15 per la conciliazione a Roma. Ma come? Alle 8 presa di servizio in Cadore e alle 15 dello stesso giorno conciliazione a Roma? Mi è stata data una proroga: entro il giorno 2 settembre a Roma. Ho fatto la presa di servizio e mi sono rimessa in viaggio in direzione della capitale. E’ arrivato il fatidico giorno della conciliazione. La funzionaria freddamente mi ha proposto Vicenza al posto di Domegge di Cadore. E’ stata una presa in giro, ho percorso 1500 km in due giorni per sentirmi dire che mi è stata assegnata una nuova sede di ufficio senza tenere conto del mio punteggio: prendere o lasciare! Sono scoppiata a piangere, non mi sono mai sentita così umiliata in vita mia. Tutto l’amore che avevo nell’insegnamento e la passione con cui l’ho svolto sono stati calpestati. Ora ho fatto ricorso al giudice del lavoro. Intanto ieri mattina mi sono messa in malattia; chiederò un anno di aspettativa non retribuita rinunciando allo stipendio: non posso lasciare i miei figli”.
Se questo è un dirigente…
Partigiani della scuola pubblica, 12.09.2016
Divulghiamo quanto il dirigente scolastico Lamberto Montanari ha scritto ad una insegnante  che si è ‘permessa’ di criticare la Riforma della Scuola e certi atteggiamenti dell’ANP, di cui il suddetto è presidente regionale. La critica della docente, garbata e mai fuori dalle righe, era conseguente alla vicenda delle slides ANP sui docenti contrastivi dello scorso dicembre:  https://www.facebook.com/notes/monica-fontanelli/lanp-continua-a-scivolare-e-a-mostrare-il-suo-volto-reazionario/1284593728224247?__mref=message_bubble.
Con ben otto mesi di ritardo il preside Montanari, che è anche (udite, udite) membro del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, le ha risposto non rinunciando neanche questa volta ad una assurda violenza verbale. Già in precedenza aveva elegantemente “auspicato un suicidio collettivo” dei docenti contrastivi alla legge 107 in un commento su Facebook:
https://www.facebook.com/1867737396785222/photos/a.1867853900106905.1073741829.1867737396785222/2096149930610633/?type=3&theater
Non commentiamo il suo scritto, perché si commenta da solo. Lo riportiamo qui di seguito, mettendo semplicemente in grassetto, per sottolinearle, le parti più raccapriccianti.
Chiediamo un intervento nei suoi riguardi da parte del MIUR e del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, a cui i Partigiani della Scuola Pubblica invieranno presto un esposto.
Leggo solo ora e per puro caso il suo miserevole testo che nemmeno entra nel merito di quanto avevo scritto. Lei usa un mio testo preciso e argomentato per i suoi patetici e lagnosi slogan “impregnati” (orrendo termine che usa lei) di ideologia assemblearistico – sovietica tra l’altro immiserita dall’empito fasullo tipico delle maestrine urlantiper la democrazia offesa e negata. Solo una cosa ancora e dopo bloccherò lei, con la sua brutta pagina, per evitare ogni possibile futuro disgusto provocato dalla stupidità delle sue vuote parole: il danno fatto da docenti come lei, alla scuola non è il contrasto sistematico (e qui sta il “contrastivo” che pure da scemi avete ritenuto tanto offensivo quando invece dovreste esserne fieri, ma da stupidi non capite una minchia) alle leggi democraticamente approvate dal Parlamento (c’è da studiare signora mia! Non bastano le scuoline magistrali) il danno consiste nella sua mediocritànella povertà culturale nascosta dietro l’arroganza e la iattanzanella sua pochezzanell’arbitrio preteso e spacciato come libertà d’insegnamentonella vigliaccheria nel rifiutare da sempre di essere valutati come ogni onesto professionista, nella presunzione di avere la verità rivelata, nella conseguente e totale mancanza di rispetto per chiunque non ‘abiti’nella sua ottusità mentale ed esistenzialePoveretta lei e i suoi amici mentecatti, usurpatori del nome di chi ha combattuto davvero per la libertà, libertà che lei mai riuscirà a capire cosa sia.
“La Buona Scuola”, corsi, discorsi e ricorsi “storici”

Fabio Guarna, La Tecnica della scuola 6.9.2016 

Le recenti pronunce, seppur provvisorie, da parte di organi giurisdizionali che riconoscono le ragioni dei docenti a dispetto dell’ostinazione del MIUR a non volere assumere provvedimenti, insieme alle conciliazioni effettuate dallo stesso MIUR in cui di fatto da Trastevere vengono ammessi degli errori nelle procedure attuate, non può essere trascurato da diverse angolazioni.

Dal punto di vista giuridico ci troviamo innanzi a errori tecnici che nella patria di Cicerone non fanno certo onore a chi li ha prodotti e soprattutto impongono un immediato impegno da parte dei responsabili a correggerli onde evitare il trascinarsi di contenziosi capaci di mandare in tilt un intero sistema. Nel nostro Paese abbiamo già sperimentato come la magistratura spesso sia riuscita a compensare la debolezza della politica a cui è affidato il potere legislativo quando esso è incapace di fronteggiare le emergenze ma soprattutto garantire i diritti dei  cittadini.
E’ accaduto negli anni ’70 durante i quali la cultura giuridica forte della figura del Pretore del lavoro riuscì ad affermare un diritto giurisprudenziale capace di ridurre le distanze tra la legge ordinaria e i principi presenti nella nostra Costituzione. E i Pretori riuscirono attraverso una enunciazione di principi che si consolidarono fortemente, a far parlare di una primavera dei diritti che nasceva e si sarebbe imposta.
Innanzi a vuoti normativi, come sta avvenendo adesso con la legge 107 (si pensi alla tutela delle madri lavoratrici, delle famiglie, dei diritti dei precari, etc.), illustri giuslavoristi negli anni ’70 riuscirono a verificare le situazioni nella pratica, cercando elementi di fatto che potessero essere utilizzati alla base di operazioni astratte di interpretazione della legge o delle leggi (in caso di vuoti normativi), per applicarle a casi concreti.
E lo fecero attraverso una dettagliata analisi dei linguaggi e della giurisprudenza di merito nonché delle istanze che in quella fase storica del nostro paese venivano a volte anche prepotentemente rivendicate dalla classe dei lavoratori. E’ vero erano altri tempi. Erano gli anni dello Statuto dei lavoratori, gli anni dei Pretori d’assalto, quei giovani magistrati, accusati dalle forze reazionarie di cercare una via giudiziaria alla materializzazione di fatto dei principi del socialismo. Ma è anche vero che furono anche gli anni in cui i diritti dei lavoratori furono promossi e garantiti dalla magistratura.
Dinnanzi ad un MIUR, che sembrerebbe avere scelto la strada di lavarsi le mani per molti casi, lasciando presumibilmente ai giudici l’ultima parola, non si può, pur in un contesto diverso non rivedere tracce di quella stagione. Vero è che i segnali che arrivano da Roma lasciano presagire numerosi contenziosi. Per fare un esempio attuale, secondo alcuni boatos, sembrerebbe che il MIUR non intenda procedere a conciliazione per le scuole secondarie superiori.
Un fatto incredibile anche perché ictu oculi, ci sono casi di errori facilmente rilevabili come ad esempio nella classe di concorso A019 il trasferimento di docenti in fase D che hanno scavalcato docenti in fase C e addirittura la presenza di docenti della stessa materia su base nazionale che non ha trovato sistemazione ed è stato dichiarato in esubero, pur avendo come previsto dalla normativa dovuto dare la disponibilità ad essere collocato su tutto il territorio nazionale.
Insomma se tutto finirà nella mani dei giudici del lavoro e i verdetti dovessero dare ragione ai docenti, coloro (più di uno ovviamente) che hanno accanitamente e si potrebbe anche dire mutuando dal linguaggio giuridico, temerariamente, sostenuto le ragioni del MIUR o minimizzato gli effetti negativi, dovrebbero dal punto di vista politico trarne le conseguenze.
La Buona Scuola non sa leggere la Costituzione
di Alberto Lucarelli, il manifesto  27.8.2016 
A pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico decine di migliaia di docenti (gli esiliati) sono costretti alla “mobilità forzata”, principalmente dal Sud al Nord, sulla base del mitico algoritmo che ha attribuito i trasferimenti senza tener conto, tra l’altro, di situazioni personali, anzianità di servizio e dei carichi familiari.
 
Tra gli obiettivi della Buona Scuola c’è quello di ‘stabilizzare’ il personale precario della scuola pubblica che da anni, per effetto di normative sempre diverse, aveva conseguito l’abilitazione all’insegnamento o era comunque stato inserito nelle graduatorie provinciali dalle quali avrebbero dovuto essere assorbiti i docenti da destinare alle attività di supplenza.
 
Proprio per contenere gli effetti di questa distorsione e, al contempo, per dare una soluzione compatibile con quanto stabilito dall’art. 97 co. 3 Cost. (che impone il concorso per l’accesso ai ruoli del pubblico impiego, fatte salve deroghe disposte per legge), la legge 107 del 2015 ha disposto il suddetto procedimento straordinario di reclutamento. Tuttavia, la legge, in diverse sue parti, configura un procedimento che pone forte dubbi di legittimità costituzionale.
 
Il fine di garantire i diritti dei lavoratori precari della scuola costituisce, come si è detto, l’elemento principale della ratio dell’intervento legislativo, tuttavia, tale obiettivo è conseguito attraverso un percorso che ingiustificatamente, e con evidenti profili di irragionevolezza, scarica i diritti già maturati da tanti docenti.
 
In particolare, una categoria di docenti particolarmente numerosa e strutturata nel tempo, in palese violazione del principio di eguaglianza, viene irragionevolmente equiparata, da parte della legge, ad altre categorie di docenti non omogenee con un grave danno al loro status giuridico. I docenti appartenenti ad altre categorie, reclutati in fasi successive, hanno paradossalmente potuto fruire di maggiori disponibilità sia nell’ambito geografico di riferimento che nei settori di concorso per i quali risultavano abilitati. In sostanza, il legittimo affidamento di migliaia di docenti, riposto nelle norme che hanno disciplinato il loro reclutamento nel personale scolastico, è stato completamente stravolto.
 
Migliaia di docenti erano iscritti in graduatorie di carattere provinciale ed avevano a suo tempo espresso un’opzione, imposta dalla legge, per delimitare l’ambito geografico in cui avrebbe potuto avvenire la loro assunzione negli organici della scuola.
 
La legge sulla Buona Scuola non ha rispettato la delimitazione dell’ambito provinciale, imponendo una scelta su base nazionale. Tutto questo, benché migliaia di docenti ammessi al procedimento straordinario di reclutamento, avessero fino a quel momento lavorato per maturare i titoli necessari all’assunzione in quel determinato contesto provinciale, proiettando anche la propria dimensione personale e in molti casi familiare in quell’ambito.
 
A ciò si aggiunga che la legge, pur lasciando formalmente alla libera scelta del docente l’indicazione delle preferenze geografiche, ha stabilito che in caso di mancata accettazione della proposta di assunzione (nella provincia in cui si sarebbe determinata la disponibilità di organico), il docente sarebbe stato escluso dalle graduatorie e non avrebbe potuto partecipare alle ulteriori fasi della straordinaria procedura di reclutamento.
Sono del tutto evidenti le violazioni dei diritti individuali dei soggetti coinvolti, i quali sono stati di fatto ‘costretti’ ad accettare una proposta di assunzione in un ambito geografico del tutto diverso, pur di preservare la legittima aspettativa all’assunzione.
 
Inoltre, va detto che i meccanismi di reclutamento prefigurati dalla legge, così come attuati in sede esecutiva (il mitico algoritmo), hanno di fatto reso impossibile sia la verifica dei criteri, in base ai quali è stata stilata la graduatoria tra gli aspiranti, sia la verifica dei criteri e delle modalità con le quali sono stati rilevati dal Ministero i posti disponibili per le assunzioni.
 
Ciò implica una palese violazione dei principi di trasparenza dell’azione amministrativa, non potendosi in alcun modo escludere che siano stati compiuti arbitri o violazioni della discrezionalità da parte dell’autorità amministrativa investita del compito di stilare la graduatoria tra gli aspiranti. In altri termini, non sono conoscibili i criteri in base ai quali i singoli docenti hanno ricevuto la proposta di assunzione.
 
Anche in questa chiave, emergono palesi violazioni, oltre che del principio di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), altresì del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
Il confronto tra le soluzioni normative adottate dallo Stato italiano e le decisioni sovranazionali, che sono alla base del percorso di stabilizzazione dei precari della scuola, fa emergere l’inadeguatezza delle scelte legislative rispetto ai diritti delle persone che la Corte europea dei diritti dell’Uomo aveva inteso garantire e tutelare con le sue decisioni.
 
In questo senso emergono sia la violazione dell’art. 117 co. 1 Cost., che impone al legislatore italiano il rispetto degli obblighi derivanti dall’adesione alla convenzione Edu, sia la violazione dei diritti delle persone e dei lavoratori che sia la Carta costituzionale che la Cedu tutelano e garantiscono.
Chiamata diretta, l’ultima trovata di certi presidi: preferire i docenti residenti nell’ambito
 
Alessandro Giuliani,  La Tecnica della scuola  27.8.2016
 
Lo avevamo detto un mese e mezzo fa, quando sulla chiamata diretta il Miur stava ancora trattando con i sindacati per buttare giù l’accordo tecnico-politico.
 
Quell’accordo non è mai arrivato, con Viale Trastevere chiamato a produrre delle linee guida in solitudine e decidere in modo uniderezionale come andare a “pescare” dagli ambiti territoriali. La nostra previsione, invece, che con un gioco di parole puntava l’attenzione dal possibile passaggio dalla chiamata diretta a quella eterodiretta, con il rischio delle individuazioni ad personam o quasi, si è invece realizzata. E nemmeno in poche scuole.
 
Stiamo parlando dei parametri prescelti dai dirigenti scolastici, nell’ambito della chiamata diretta, per decidere quale docente sarebbe più adatto a ricoprire i posti da assegnare a chi ha fatto domanda interprovinciale (non avendo “azzeccato” il primo ambito), ai sopranummerari e a tutti gli assunti dalla fase B della Buona Scuola in poi, compresi i prossimi 32 mila assunti nei giorni di inizio del prossimo anno scolastico.
 
Questi dirigenti, infatti, hanno prima eluso la norma-base della chiamata diretta inclusa nella L. 107/15 in base alla quale i requisiti di scelta non sono di certo a loro discrezione, ma in stretta relazione al Pof triennale, e poi dato spazio ad esperienze e titoli sempre più particolari. Durante i colloqui, si è addirittura sconfinato nella vita privata dei docenti, chiedendo quali fossero i loro progetti sul matrimonio, sulla gravidanza, sui figli e sul legame loro territorio d’origine.
 
Anche in ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, è intervenuto per dire che tali procedure sono inadeguate e che i dirigenti che le avessero applicate se ne sarebbero assunti tutte le responsabilità.
 
Incuranti di tutto ciò, ci sono dei presidi che a tutt’oggi stanno adottando parametri di scelta e colloqui sempre più sganciati dai parametri indicati dai collegi dei docenti. Come dalle Legge 107 e dalle linee guida di fine luglio.L’ultima “moda” sembra essere quella di inserire tra le condizioni di scelta prioritarie la residenza del candidato: qualche giorno ci avevano detto che era stato fatto così in un istituto del litorale romano. Abbiamo fatto delle verifiche: non erano voci infondate. Anche perché, nel frattempo, sono arrivate in redazione delle denunce analoghe, pure circostanziate. Anche da parte dei docenti rimasti esclusi, proprio perché non residenti nell’ambito della scuola dove hanno fatto domanda.
 
In pratica, anziché andare a verificare il docente più adatto a ricoprire il posto libero, il preside reputa decisive le condizioni logistiche del candidato. E poco importa se non è all’altezza. Perché, l’importante è, evidentemente, che faccia poche assenze e sia potenzialmente presente quasi sempre in occasione dei ritorni pomeridiani. Didattica e progetti sono rimandati. Alla prossima riforma.


Chiamata diretta, dirigente chiede prova “concorsuale”, lettera di referenze e costituisce una commissione esaminatrice
di Anselmo Penna, Orizzonte Scuola,  19.8.2016
Succede al Liceo Scientifico “Francesco Vercelli” di Asti dove il dirigente ha richiesto per la scelta dei docenti che essi svolgano durante il colloquio una esposizione di un modulo estratto a sorte tra quelli proposti da una “commissione”.
E’ tutto scritto, nero su bianco, nell’avviso che è stato pubblicato online sul sito della stessa scuola.
Tra i criteri, il dirigente chiede per tutte le classi di concorso per cui si cerca un docente, “esperienze positive e referenziate pregresse prioritariamente presso i licei scientifici”
In pratica, i docenti che vogliono insegnare in questa scuola di Asti, dovranno farsi scrivere una lettera di referenze dai dirigenti delle scuole presso cui hanno insegnato (preferibilmente licei) in cui si attesti una “esperienza positiva”.
Infine, il dirigente chiede che il docente che aspira a questa scuola, esponga “un modulo estratto a sorte tra quelli proposti dalla commissione”.
Si tratta di una commissione composta, secondo quanto si legge nell’avviso, “dal dirigente scolastico, il vicario, il primo collaboratore del dirigente scolastico e il responsabile del dipartimento disciplinare in oggetto.” La prova richiesta è molto simile a quella per il concorso a cattedra.
Richiesta lecita? Assolutamente NO. Le linee guida chiariscono che il colloquio, in presenza o remoto, serve al candidato per “illustrare il proprio CV e acquisire informazioni utili per scegliere tra le diverse scuole”. Non è un esame o un concorso. Il docente ha già dimostrato di essere in grado di svolgere una lezione attraverso uno dei percorsi selettivi che gli hanno fornito l’abilitazione e lo hanno assunto in ruolo.
Inoltre, il Ministero ha emanato delle FaQ in cui chiarisce che il colloquio “non prevede prove di alcun genere. Non è una procedura concorsuale per l’accertamento dei requisiti del ruolo docente.”
Va da sé che altrettanto illecita è la costituzione da parte della scuola di una commissione, dato che i docenti non si devono selezionare in base alle loro capacità (già assodate), ma in base ai titoli.
Ringraziamo l’utente che ci ha segnalato questo caso e invitiamo gli altri docenti a segnalarcene di nuovi:Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Da parte nostra daremo il giusto risalto a questi casi che a quanto pare non sono rari, ma invitiamo a segnalarli all’USR di competenza, anche tramite i sindacati.
Chiamata diretta: denunciate irregolarità agli USR. Sarà valutata coerenza con PTOF e inciderà su valutazione dirigenti
L’avviso della scuola


Chiamata diretta, al colloquio un preside indaga sull’eventuale gravidanza della prof
Alessandro Giuliani, La Tecnica della scuola  11.8.2016
Il colloquio tenuto in questi giorni da alcuni dirigenti ai docenti, starebbe trasformando la chiamata diretta in una sorta di selezione aziendale.
Tali presidi sarebbero poco interessati a conoscere le competenze didattiche dei docenti e più a comprendere quali siano le loro scelte di vita personali. Come la gravidanza, l’intenzione di chiedere assegnazione provvisoria o la disponibilità che si vuole dare al lavoro rispetto alla vita privata.
A denunciarlo è il movimento Possibile, attraverso un comunicato “rovente” sottoscritto da Beatrice Brignone e Pippo Civati, che riporta una lettera aperta delle segreterie di Cisl e Uil Scuola delle Marche con la quale si riportano le testimonianze di giovani insegnanti, convocate dai dirigenti scolastici per la procedura di chiamata diretta.
Questo “colloquio – scrivono i parlamentari – si sarebbe svolto all’insegna di domande sui figli piccoli, sulla volontà di prendere un’aspettativa in caso di gravidanza o sulla richiesta di assegnazione per avvicinarsi a casa”.
Per Brignone e Civati, si tratta di “domande assolutamente inopportune e discriminatorie che mettono in evidenza ancora di più quanto la Buona scuola sia dannosa e arretrata. E’ chiaro che una risposta affermativa delle insegnanti su gravidanze o figli piccoli potrebbe incidere sulla scelta del dirigente. Ci troviamo in presenza di un arretramento in termini di diritti dei lavoratori che non ha precedenti e che fa emergere nel pubblico impiego pratiche che appartenevano finora solo ad ambiti strettamente privati”.
“Questo è il risultato – continuano – di chi concepisce la scuola pubblica come un’azienda e non come il luogo fondamentale della formazione e dell’educazione alla diversità e anche alla parità di genere (come recita in uno dei suoi punti anche il decreto sulla Buona Scuola). Chiediamo che la ministra Giannini verifichi immediatamente con tutti i mezzi in possesso del Ministero quanto denunciato dai sindacati. Le insegnanti indubbiamente non rischiano il posto, ma è intollerabile che debbano subire anche questa umiliazione, oltre agli innumerevoli disagi già in essere a causa dei trasferimenti”.
È auspicabile che la richiesta di Brignone e Civati abbia seguito: la chiamata diretta intesa nella Legge 107/2015 non è nemmeno lantana parente di situazioni di questa portata.
Chiamata diretta registrata telefonicamente alla presenza dei collaboratori
Lucio Ficara, La Tecnica della scuola  11.8.2016
Vogliamo solo sperare che non sia vero, ma la notizia riguarderebbe una modalità veramente originale di chiamata diretta fatta a dei docenti titolari di ambito.
Come sarebbe stata gestita da una dirigente scolastica la chiamata diretta per scegliere i docenti da incaricare per il prossimo triennio? La dirigente avrebbe organizzato una chiamata diretta per via telefonica alla presenza di due suoi collaboratori. Ai docenti che avevano presentato la propria candidatura per posta elettronica è stato fissato un appuntamento telefonico per avviare il colloquio con il capo d’Istituto.
All’inizio della telefonata il dirigente scolastico ha avvisato il docente che la telefonata sarebbe stata registrata e che avrebbe avuto lo scopo di conoscere il docente al fine di una scelta consapevole per l’eventuale incarico. Il docente ha dovuto rispondere che accettava la registrazione e ha dovuto presentarsi con nome cognome, codice fiscale e il numero di documento valido.
La telefonata è proseguita con domande specifiche a cui il docente avrebbe dovuto rispondere brevemente. Domande del tipo: “Mi sa dire cosa è il RAV?”; “Da chi è composto il comitato di valutazione?”; “Quale programma conosce per l’utilizzo della Lim?”; “Cosa è una rete di scopo?”.
Le docenti che ci hanno raccontato questo metodo veramente originale di fare la chiamata diretta, hanno anche detto che è stato veramente imbarazzante. Ci piacerebbe sapere se anche altri docenti hanno ricevuto telefonate registrate, al fine di affrontare un colloquio per essere scelti per un contratto triennale sul genere di quello appena descritto.
Buona scuola e concorsone: le falle di un sistema già in crisi
di Azzurra Petrungaro, Mediapolitika, 8.8.2016
Non c’è pace per i docenti italiani. Agosto non è più sinonimo di ferie per molti, da molto tempo e nonostante le temperature elevatissime i precari italiani scendono in piazza per protestare contro i trasferimenti della Buona scuola.
 A Napoli, in Piazza Plebiscito, lo scorso giovedì è intervenuta addirittura la polizia e molti manifestanti raccontano di un clima piuttosto teso: “La polizia a un certo punto ha indossato i caschi, come in assetto antisommosa, e ci ha messo le mani addosso”. A scendere in piazza sono circa trecento e parlano di “deportazione”, nonostante il punteggio molto alto che garantisce loro una posizione vantaggiosa in graduatoria, sono stati destinati in alta Italia. Docenti con dieci, quindici anni di esperienza.
 
Un’insegnante, Adriana Monforte, cade e sviene per i 30 gradi che impietosi arroventano la piazza: “Un poliziotto o un carabiniere mi ha spinto e mi ha fatto cadere, intendo denunciarlo: siamo lavoratori come loro e io sono qui a manifestare perché ho 23 anni di docenza alle spalle, all’età di 53 anni Renzi mi ha fatto trasferire prima ad Alessandria e poi in Emilia e Romagna nonostante abbia un punteggio in graduatoria di 84, che è molto alto”.
 
Spostandosi più a sud la situazione non cambia, peggiora. Mercoledì 3 agosto sono stati pubblicati i trasferimenti della scuola media, con numerosi errori, stando alle valutazioni riportate dai docenti interessati. Luigi Del Prete dell’Usb dichiara: “É inspiegabile che colleghi con 20-16-9-6 punti siano stati assegnati al primo ambito scelto e colleghi con 40 punti al decimo o al trentesimo o al cinquantesimo ambito. Il sistema – aggiunge – è pieno di falle e il ministero non vuole procedere all’annullamento dei trasferimenti, correggere il sistema e ripubblicare il tutto. Fermare tutto e correggere prima della pubblicazione dei movimenti per la scuola secondaria di II Grado, dove ci aspettiamo, ormai, una simile mole di strafalcioni che ledono ogni diritto del lavoratore e della persona”. La protesta non si fa attendere e mentre giovedì a Napoli i docenti occupano Piazza Plebiscito, i colleghi siciliani si radunano aPalermo in via San Lorenzo, dove è ubicato l’ex provveditorato agli studi (ora Ambito territoriale di Palermo).
 
Ma i malumori sulla questione scuola non si esauriscono con la faccenda delle assegnazioni di cattedra. I dati provvisori sul “concorsone”, emanati dagli Uffici scolastici regionali attestano chemetà dei candidati non ha, di fatto, superato la selezione. Si attendono le cifre definitive di settembre, ma tanto è bastato ad accendere una dura polemica.
 
Alcuni datiLombardia, laboratorio di Scienze e Tecnologie chimiche: 68 candidati, solo 7 ammessi alla prova orale. Lettere, medie e superiori: 1.894 presentati, 572 promossi. Liguria, cattedra di Lingue e Culture straniere per le medie: 98 allo scritto, solo 27 andranno all’orale, con voti bassi. Emilia Romagna, su 37 candidati per i laboratori di scienze e tecnologie meccaniche, 16 sono stati ammessi alla prova orale. Tredici su 29 in Toscana, per le scienze. Undici su 22 in Campania per l’italiano. In Puglia, Filosofia e Scienze umane, 10 passati su 27 e 68 su 288 in Lingue. Sul sostegno, in Piemonte 130 hanno superato lo scritto (su 333). Filosofia e Scienze umane inCalabria si è chiusa con nessun promosso su 23. Sempre in Calabria, ecatombe nelle discipline letterarie: 95 su 320. In Sicilia, si concentra il 70 per cento dei bocciati: le due domande in lingua straniera hanno provocato la disfatta dei candidati, come ha rivelato l’Ufficio scolastico. Quanto alla Sardegna, per il sostegno di primo grado, tra i quattro candidati che si sono presentati, solo uno ha passato la selezione.
 
Tra le parti è scontro per ricercare le motivazioni dell’alto numero di bocciati e impreparati, il Gruppo Mida precari sostiene: “Selezione durissima perché allo Stato conviene tenerci precari”.
 
Prese di mira anche le commissioni esaminatrici, ritenute troppo severe o inadeguate, guidate da docenti universitari, o a insegnanti con meno di cinque anni di servizio o ancora a pensionati.
 
I dirigenti del Miur stanno sollevando una terza ipotesi: alcuni presidenti di commissione, non in accordo alla Buona scuola avrebbero utilizzato il sistema delle numerose bocciature per farentrare in crisi il meccanismo. Volontarietà o meno, il sistema è effettivamente in condizioni critiche. Basti pensare al numero di domande di partecipazione, 165.578, per 63.712 posti messi a bando. Uno su tre.
 
Ma stando ai numeri riportati, in molte regioni, ci sono meno docenti rispetto ai posti disponibili. Come il caso Calabria: 346 cattedre per i 95 ammessi all’orale in Lettere. La soluzione per non lasciare cattedre vuote sarà sempre la stessa: le supplenze. Alla faccia del decreto che avrebbe messo fine al precariato.


Scuola, per l’assunzione è richiesto il video-provino
di Luigi Garofalo, l’Espresso,  1.8.2016
L’iniziativa di due dirigenti degli istituti di Prato e Pistoia: gli aspiranti prof dovranno inviare un video-cv e rendersi disponibili per un colloquio in diretta online. “Nessun concorso di bellezza, è in linea con la scuola digitale”.
È  stata definita “chiamata diretta” e, al momento, due dirigenti scolastici l’hanno presa alla lettera. Così ai docenti, che vogliono candidarsi per i posti d’insegnamento disponibili nelle scuole da loro gestite, è richiesto un video di presentazione di due minuti. Inoltre, si legge nei bandi, i dirigenti potranno valutare l’opzione di svolgere colloqui in diretta online: via Skype, Facetime e Adobe Connect.
A chiedere video cv più l’opzione del colloquio online sono due scuole toscane. Il primo è l’istituto comprensivo “Pier Cironi” di Prato il cui dirigente scolastico nel bando, emanato per la ricerca di un docente a cui affidare l’incarico per la scuola dell’infanzia, nella modalità di presentazione della domanda ha scritto: “Alla mail deve essere allegato un video di 2 minuti massimo di durata, con ripresa a figura intera, in cui il candidato/la candidata si presenta e illustra in sintesi le motivazioni della candidatura. Il video va allegato in formato link da consultare via web (su youtube, su vimeo, su altro servizio di video condivisione online)”.
La rivoluzione del nuovo modo di presentare le domande da parte degli insegnanti potrebbe arricchirsi anche della seguente novità: “Il dirigente potrà valutare l’opzione di svolgere colloqui individuali anche via skype, via facetime, via adobe connect, pertanto il candidato/la candidata dovrà indicare nella mail di candidatura i riferimenti di contatto specifici utili allo scopo”.
La seconda scuola è l’istituto comprensivo statale “A. Frank – Carradori” di Pistoia. Qui i posti in ballo per i docenti sono tre: uno per la scuola dell’infanzia e due per quella primaria. E anche in questo caso nel bando è riportato il nuovo modo per parteciparvi. È un copia e incolla. Video di presentazione di massimo due minuti più la facoltà del dirigente di sostenere colloqui in diretta online.
LA LEGGE LO CONSENTE?
La legge di riferimento è la numero 107 voluta dal governo Renzi per riformare l’Istruzione italiana, quella che ha dato vita allo slogan “la buona scuola”. Nel testo non si fa riferimento né a video di presentazione né ai colloqui in diretta via web. Però è stato il Ministero dell’Istruzione a spiegare che i criteri per l’individuazione dei docenti per competenze per l’anno scolastico 2016 – 2017 non sono vincolanti.
“NESSUN CONCORSO DI BELLEZZA”
“Non è un fatto straordinario, né un concorso di bellezza: mi è sembrato naturale dar vita a questa modalità in linea con la scuola digitale”: ha risposto così a l’Espresso Alessandro Giorni, il dirigente scolastico dell’istituto comprensivo “Pier Cironi”. Giorni, scherzando, ha detto: “Non guarderò alle forme umane, ma a quelle digitali”. Facendosi più serio, ha poi aggiunto: “Con i colloqui online avremo l’occasione di poter parlare con i docenti e valutare se sono competenti e motivati, cosa che prima accadeva in linea teorica: con la graduatoria prendi quello che arrivi. Ora con le nuove tecnologie è possibile vedere la motivazione di chi hai davanti”.
Il dirigente ha spiegato anche la scelta del video di presentazione: “Siamo una scuola molto digitale, per cui è stata una scelta naturale”, ha affermato Giorni. “L’insegnante non sta seduto di solito, si sposta, fa lavoro di gruppo ed è giusto avere una visione globale della persona con un video a figura intera, poi il mezzobusto oggi non si vede neanche più in tv”. Infine ai tanti insegnanti che sui social in questo momento stanno criticando questa scelta e hanno paura di registrare il video, ha risposto così: “Non devono pensare se sono belli o brutti esteticamente, ma devono pensare di utilizzare il video per fare didattica”.


Docenti, pronti per la chiamata da spiaggia?
di Alex Corlazzoli,  Il Fatto Quotidiano   25.7.2016 
Un tuffo e poi tutti in Rete a cercare la scuola giusta per presentare la propria candidatura o sotto l’ombrellone a chiamare l’amico preside per farsi assumere. Passerà alla storia come una selezione da spiaggia quella che si appresta a partire la prossima settimana per 90mila maestri e professoriAl ministero l’hanno definita “chiamata per competenze” ma forse è il caso di parlare di una chiamata ideata da incompetenti che in un anno dall’approvazione della Legge 107 non hanno saputo progettare nulla di meglio che un procedimento farlocco destinato ad aumentare la cultura corrotta degli italiani “costretti” a cercare l’amico per avere un posto di lavoro. Tutto fatto all’ultimo momento.

Ma veniamo ai fatti: il professor Rossi che è giustamente partito per Lampedusa per tre giorni dovrà rinunciare alla spiaggia dei conigli e alle vacanze con la sua famiglia. Dal 6 al 9 agosto altro che abbronzatura e bagni, a lui toccherà passare le giornate davanti al personal computer a cercare sui siti delle scuole del suo ambito quella che cerca uno con le sue esperienze.

Più dura la vita per la maestra Brambilla: quest’estate ha pensato di fare un’esperienza in una missione inMozambico. E’ partita con un libro, una macchina fotografia e lo stretto necessario. Ma senza Pc. E ora come farà a guardare i siti delle scuole e ad inserire il suo curriculum? Nella missione di Kuala Lumpur tra l’altro la connessione non c’è.

Stessa sorte per i presidi: il dirigente Bianchi aveva già prenotato le sue vacanze a Santorini ad agosto ma dovrà rinunciare alle ferie. Il suo periodo di riposo lo dovrà trascorrere in ufficio sotto le pale del ventilatore a scegliere indicatori e guardare decine di curriculum inviati da ogni dove.

A proposito degli indicatori: tra i titoli proposti dal ministero ci sono “attività espressive (teatro, arte, cinema…)”;“legalità e cittadinanza”“educazione ambientale”; “didattica digitale”. Quando entro in classe leggo il quotidiano con i miei ragazzi; ogni giorno apro l’agenda antimafia e faccio memoria di chi è stato ucciso dalla criminalità organizzata; la lavagna multimediale è sempre accesa per fare italiano, storia e geografia e in “gita” sono andato alla fiera del consumo critico “Fa la cosa giusta”.Chi certifica tutto ciò? Per chi ama questo mestiere questo e molto di più è la quotidianità che non è “registrata” e“riconosciuta” da nessuno se non dallo sguardo interessato degli alunni e dalla soddisfazione dei genitori.

Il pericolo ora è che chiunque possa fare un elenco di esperienze al preside Bianchi per ottenere il posto.

Certo, certo ci potrà essere il colloquioDalla spiaggia. “Scusi, preside, la posso richiamare in questo momento ho le mani sporche di crema abbronzante?”.
Entro il 18 agosto i presidi dovranno individuare i loro docenti anche attraverso un colloquio che può essere fatto anche con unavideochiamata Skype.
Immaginate la scena: il dirigente Bianchi passerà la giornata davanti allo schermo alla ricerca del suo prof.
“Pronto? Pronto? Non la sento dov’è?”.
“Scusi preside ma sto scalando sul Cervino. Qui prende poco”.
“Pronto sono il dirigente dell’istituto don Milani. Ho visto il suo curriculum possiamo fare un colloquio ora?”
“Proviamo ma io sono a Phnom Penh in Cambogia”.

E poi arriverà l’altra chiamata:
“Caro amico preside. Come stai? Hai visto il mio curriculum?” oppure “Dirigente, sono il sindaco. Le faccio avere il curriculum del figlio di quel mio amico…”.
Solo dei tipi da spiaggia potevano pensare ad una selezione in agosto. Ad un mese dall’inizio della scuola.
Lo scrive uno che sostiene la “chiamata diretta”, uno che crede ad un’assunzione fatta con un colloquio, con una selezione seria. Da tempo denuncio il fatto che un operatore ecologico viene assunto dopo che è stato guardato negli occhi dal suo datore di lavoro mentre un insegnante entra in una classe senza che nessun dirigente l’abbia prima guardato in faccia. Spesso a fine anno, nelle scuole più grandi, i presidi magari neanche sanno il tuo nome.

La chiamata diretta è la strada giusta ma non così. Non fatta dai dirigenti. Ancora una volta il tutto è stato trasformato in un pasticcio nella migliore tradizione italiana.




La beffa della Buona scuola. Appena assunti e già in esubero

di Sandra Cardi e Marco Nobilio,  
ItaliaOggi  19.7.2016
– Circa 2200 neoimmessi in ruolo su posti inesistenti
Docenti neoimmessi in ruolo e già in esubero. Sono circa 2.200, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, i docenti assunti a tempo indeterminato nelle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni disposto con la legge 107/2015, la cosiddetta Buona scuola, che non troveranno posto nella fase dell’assegnazione agli ambiti. Il motivo è semplice, i loro posti sono stati utilizzati per riassorbire i docenti in esubero già in ruolo nel 2014/2015. A questi si aggiungono altri 1000 esuberi strutturali a vario titolo che residuano dalla mobilità. Ieri si è parlato di questo a viale Trastevere, in una riunione alla quale hanno partecipato i vertici dell’amministrazione centrale e i direttori regionali. Obiettivo: provare a modificare gli organici per evitare la soprannumerarietà. La gestione di questi esuberi, questione già sollevata al ministero dalla Cisl scuola la scorsa settimana, è infatti assai problematica visto che derivano dall’assorbimento dei docenti della ex Dop (dotazione organica provinciale) e da situazioni strutturali a vario titolo. E risultano difficilmente ricollocabili perché appartengono in gran parte a classi di concorso di nicchia, infungibili per loro natura, che sono presenti solo in alcuni istituti. Come per esempio la classe A017 (economia aziendale) e la A019 (discipline economiche e giuridiche).
Per comprendere come sia potuto succedere, che siano state disposte immissioni in ruolo in classi di concorso gravate da esuberi strutturali, occorre risalire alla questione del contenzioso seriale sull’abuso dei contratti a termine. Da più di 10 anni, infatti, un numero sempre crescente di docenti precari si rivolge ai giudici del lavoro intentando azioni risarcitorie, lamentando l’abuso di contratti di supplenza da parte dell’amministrazione. E nella fase di merito l’amministrazione risulta sistematicamente soccombente. Nella fase di legittimità, però, la situazione sembrava essersi capovolta. La Cassazione, infatti, aveva statuito che la reiterazione dei contratti a termine sarebbe da considerarsi legittima. Alcuni docenti precari, però, non si sono dati per vinti, e hanno adito il giudice del lavoro sollevando, in via incidentale, una questione di legittimità costituzionale sulla normativa che consente la reiterazione. E la questione è stata dichiarata non manifestamente infondata dal giudice del lavoro, che ha trasmesso gli atti alla Consulta.
Infine, il 12 luglio scorso, la Corte costituzionale, dopo una pronuncia chiarificatrice da parte della Corte di giustizia europea, ha dichiarato incostituzionale la norma che consente la reiterazione delle supplenze annuali perché non prevede sanzioni.
Nel frattempo il governo non è rimasto a guardare e, prevedendo una sentenza sfavorevole, ha promosso l’approvazione di una legge finalizzata a svuotare le graduatorie a esaurimento, tramite l’immissione in ruolo di oltre 60mila docenti, in aggiunta alle immissioni in ruolo ordinarie. Lo svuotamento, però, c’è stato solo in parte. Perché 18mila docenti sono rimasti nelle graduatorie. E le immissioni in ruolo aggiuntive non sono state disposte su cattedre vacanti in organico di diritto, ma su cattedre costituite su misura per i diretti interessati: le cosiddette cattedre di potenziamento.
Questa operazione ha avuto come effetto l’immissione in ruolo di docenti appartenenti a classi di concorso in esubero. Perché nelle classi di concorso in esubero le graduatorie erano più pingui. Di qui l’insorgenza di nuovi esuberi, proprio perché le cattedre di potenziamento costituite ex novo sono state in gran parte occupate, nella fase dei trasferimenti, dai docenti già in ruolo nell’anno 2014/2015 già in esubero da anni. Insomma, una specie di reazione a catena che renderà particolarmente difficile il riassorbimento dei nuovi esuberi. E vincolerà le scelte degli uffici scolastici in sede di autorizzazione delle cattedre di potenziamento.
D’altra parte, non sono rari i casi in cui, già da quest’anno, le scuole abbiano chiesto cattedre di una specifica classe di concorso e si siano viste assegnare uno o più docenti appartenenti a classe di concorso del tutto diverse. Questo fenomeno, peraltro, è destinato a continuare e ad aggravarsi nei prossimi anni. Perché le esigenze di bilancio non consentono all’amministrazione di ampliare ulteriormente l’organico.


Il caso del Preside-Ribaldo, incurante delle norme
Lucio Ficara,  La Tecnica della scuola  29.6.2016
La legge 107/2015 che ha deciso di aumentare i poteri decisionali dei dirigenti scolastici, ha fatto nascere,
nell’immaginazione collettiva,nuovi termini come quello del Preside-Sceriffo o del Preside-Padrone. L’idea renziana che per governare ci vuole autoritarismo e l’uomo solo al comando, ha trovato pienamente corrispondenza in alcune riforme portate avanti proprio dallo stesso Governo Renzi. Questa insana idea è stata raccolta da qualche improvvido dirigente scolastico, che, incurante delle norme, ha forse pensato che tutto gli è lecito e tutto gli è consentito. Tanto per coniare un nuovo termine, si tratta di un Preside-Ribaldo, che non ha rispetto degli altri, delle disposizioni legislative e ne saccheggia i principi cardine.
Eppure esistono anche i miserevoli Presidi-Ribaldi, che, con il loro agire, operano in spregio alle leggi, alle norme e soprattutto ai contratti. Non si possono lasciare le ISTITUZIONI SCOLASTICHE in mano a tali ignoranti, che mortificano, attraverso la loro conduzione e i loro comportamenti, l’essenza del fare SCUOLA. Per esempio ci comunicano, decine di insegnanti di una scuola calabrese, che il loro DS ha imposto per circolare pubblica, la presenza dei docenti a scuola, dopo la fine delle lezioni e per tutto il mese di giugno, secondo il “regolare orario settimanale di servizio”.
Dopo una diffida della FLC CGIL al Direttore Generale dell’USR Calabria, il Ds in questione, ha scritto una rettifica, ancora più illegittima della prima circolare interna. Il Ds della suddetta scuola, non solo ha perso un’occasione per fare silenzio, ma avrà sicuramente impensierito il responsabile dell’USR Calabria.
Si tratta di un caso non risolto in cui un Preside pensa di potere disporre a piacimento dei docenti, contro le norme del Testo Unico sulla scuola e quelle contrattuali. In tal caso il Preside-Ribaldo scrive che è in possesso di una delibera del Collegio dei docenti, che imporrebbe il rientro dalle ferie il 16 agosto per fare corsi di preparazione per gli studenti con debito scolastico. Chiediamo al DS che dice di possedere questa fantomatica delibera: “Può una delibera di un Collegio dei docenti andare oltre la norma legislativa e contrattuale del godimento delle ferie, imponendo di svolgere un’attività accessoria a tutti i docenti?”
Ecco un esempio, ma purtroppo non è il solo, per cui la legge 107/2015 è una norma pericolosa e devastante sotto il profilo etico. La legge 107/2015 messa nelle mani dei Presidi-Ribaldi avrà un effetto micidiale. Quindi le soluzioni possibili sono solo due: “ O si cacciano i Presidi-Ribaldi oppure si cancella la 107”.
 
“La buona scuola” … “Buona” come questa mela…
di Teresa D’Errico, ReteScuole  25.6.2016
C’era una volta Biancaneve, che sedotta da una mela rossa e bella, la mangiò e cadde nel tranello della strega cattiva!
“La Buona Scuola” … buona come la mela avvelenata: dietro l’apparente bellezza, nasconde un retrogusto amaro, molto amaro.
Sarà un caso, ma dai tempi di Adamo ed Eva le mele belle nascondono grandi condanne!
Esemplifichiamo.
L’anno 2016 passerà alla storia per la massiccia assunzione di docenti nella scuola.
E questo potrebbe sembrare un dato positivo, il lato bello della mela letale: dare lavoro, risolvere il precariato … conquiste storiche!
Occorre, invece, un occhio attento, capace di evitare le trappole, gli scorni di chi crede/che la realtà sia quella che si vede, direbbe Montale.
Consideriamo, in primo luogo,  la sorte dei “potenziatori” (è questo il termine con cui, per effetto della legge 107/2015, viene generalmente designata quella porzione dell’organico scolastico immessa in ruolo… senza ruolo): molti neoassunti, dopo anni di “supplentite”, ingenuamente convinti di aver raggiunto la tanto sperata sistemazione, hanno, invece, vissuto il carattere svilente della loro effettiva presenza a scuola. Costretti a lunghe giornate di attesa in sala-docenti nella speranza di poter essere utilmente impiegati; nascosti negli anfratti polverosi di cadenti istituti scalcinati, alla ricerca di qualcosa da fare, anche semplici fotocopie, i neoassunti – di fatto insegnanti che non insegnano – hanno visto crollare le speranze legate all’agognata fine del loro precariato. Completamente demansionati, perché ridotti, il più delle volte, a “tappabuchi” per supplenze brevi, a sorveglianti delle biblioteche scolastiche, a intrattenitori pomeridiani di allievi poco attenti, gli insegnanti neoimmessi in ruolo si sono, pertanto, adattati a una condizione che snatura il loro lavoro di docenti e hanno supinamente accettato – pur di superare l’anno di prova – le angherie che una riforma assurda forse non ha previsto, ma che, comunque, non evita, a cominciare dal rinnovato, anche se metaforico, ius vitae necisque che la legge 107/2015 garantisce alla figura dei dirigenti scolastici. Questi ultimi, infatti, a loro arbitrio (o, comunque, con forti margini di discrezionalità) possono in effetti etichettare i docenti come insegnanti di serie A (se disposti alla totale collaborazione) di serie B (nel complesso sopportabili, anche se dotati di spirito critico e non completamente disposti al ruolo di “yes men”) di serie C (eversivi e da non riconfermare nel Piano dell’Offerta Formativa Triennale).
E questo è solo un aspetto della generale assurdità di una dissennata riforma scolastica sulla quale, inspiegabilmente, aleggia uno strano silenzio: i media non ne parlano, i talk show tacciono, se ne discute in gruppi ristretti di addetti ai lavori che si sfogano nelle lande del web, ma la collettività ignora – ancora oggi, dopo un anno dalla sua promulgazione – il carattere funesto della legge 107/2015.
Davvero mortificante, inoltre, risulta l’introduzione del principio di competizione sotteso all’erogazione del bonus premiale previsto da “La Buona Scuola”, principio contrario ad ogni prospettiva culturale che per anni ha fatto della scuola pubblica un luogo di collaborazione, di integrazione e di solidale pluralismo.
A ben guardare, in effetti, la legge 107/2017 sembra accarezzare il peggiore  individualismo narcisistico dell’essere umano. Infatti, presi dal panico di ricorsi e rimostranze eventualmente conseguenti alla distribuzione, che è discrezionale, delle quote premiali, i dirigenti scolastici già da tempo stanno invitando i docenti a fare esplicite richieste del bonus. Si tratta di istanze scritte eufemisticamente definite “schede di autovalutazione delle competenze”. In questo modo ciascun insegnante sarà indotto a indicare tutti i campi di eccellenza in cui avrà dato libero sfogo al proprio ego. Si può immaginare di quanto “merito” siano piene tali schede, tabelle, domande, istanze o che dir si voglia.
Il sistema istituito dalla legge 107/2015 –  un ingranaggio che, a questo punto, andrebbe a buon diritto definito solo illusoriamente meritocratico – si fonda, quindi, sull’elargizione di  “mance” che gli insegnanti dovranno umiliarsi a chiedere e che i dirigenti scolastici attribuiranno – appare chiaro – non certo ai docenti che sanno insegnare il valore non quantificabile del pensiero critico – quello rischioso, che implica anche la responsabilità della disubbidienza civile – ma, piuttosto, a quegli insegnanti che “fanno altro” e, cioè, usano scenograficamente le tecnologie multimediali, come provetti youtuber registrano le loro videolezioni per “ottimizzare” la didattica in una flipped classroom, si prodigano per l’organizzazione della scuola in mille attività da curatori di public relations con enti esterni, si autocandidano come tutor di progetti sul cibo, sulla nutrizione corretta  (interessanti, sì, ma davvero da premiare per la loro alta valenza culturale e didattica?) e svolgono con zelo la funzione di tour operator progettando allettanti itinerari per gite scolastiche.
È evidente che “La Buona Scuola” ignora il vero merito, quello che non è misurabile né standardizzabile e che, perciò non sarà mai premiato.
A questo proposito andrebbero vagliati alcuni dei criteri individuati dai vari Comitati di valutazione attivi nelle scuole per l’attribuzione del bonus ai docenti “meritevoli”.  In particolare, uno tra quelli adottati in diverse scuole e diffusi sui siti web di numerosi istituti, desta un certo allarme: assunzioni di compiti e di responsabilità nel coordinamento di attività della scuola, di supporto organizzativo al DS, di attività anche in orario extracurriculare, di attività in periodi di sospensione delle lezioni attraverso la gestione autonoma degli incarichi ricevuti, anche con soluzioni organizzative efficaci.
Orario extracurriculare, attività in periodo di sospensione delle lezioni, gestione autonoma degli incarichi ricevuti: si chiama merito, questo, oppure – liberato il linguaggio da un’evidente camouflage manipolatorio e constatata la palese frattura tra le parole e le cose – più verosimilmente deve essere considerato come una nuova forma di schiavitù o, comunque, di sfruttamento delle risorse umane? Insomma, stanno risorgendo – dopo anni di preziose conquiste sindacali – modi di concepire il lavoro che violano le più elementari regole contrattuali.
E perché dovrebbe essere premiato chi abdica alla naturale funzione di mediazione culturale, insita nella nobiltà del lavoro dell’insegnante, per trasformarsi in un burocrate? Bisogna ricordare che si sta parlando di scuola pubblica e non certo di aziende dall’impostazione nipponica fondate sull’equazione vita=lavoro e sull’incentivo economico come premio per la produttività.
A scuola non si “produce” niente. E il buon insegnante non va “premiato”. Il buon insegnante va giustamente remunerato, in rapporto a scatti stipendiali e rinnovi contrattuali.
Si consideri, poi, un altro dei criteri adottati dai Comitati di valutazione; l’enunciato è davvero sorprendente:documentabilità e verifica di tutte le fasi dell’insegnamento di una qualità molto soddisfacente, anche attraverso strumenti obiettivi di valutazione complessivi o a campione.
Come si fa a documentare e a verificare tutte, proprio tutte, le fasi di insegnamento per attestare la loro qualità molto soddisfacente? A rendere positiva l’azione didattica è un complesso di fattori non sempre certificabili. La relazione positiva con gli alunni, la comunicazione corretta e incoraggiante, i toni autorevoli, ma pacati, la passione per gli argomenti affrontati sono cose documentabili?
Insegnare significa, letteralmente, lasciare un segno. E non è tanto in questione il contenuto del sapere trasmesso, quanto l’amore che verso quel sapere l’insegnante è in grado di infondere ai suoi studenti. Si chiama “stile” dell’insegnamento e non è una semplice somma di competenze misurabili e documentabili. Lo stile è il modo di dare forma al sapere, è la capacità di renderlo vivo e agganciato alla vita (1): tutto questo non ha prezzo.
E, allora, quale logica sottende l’intenzione di voler premiare la qualità dell’insegnamento che non può, certo, essere liquidata con un bonus?
Il rapporto premio-punizione è stato abbandonato in pedagogia; è davvero strano che ora venga rilanciato dal Ministero dell’Istruzione.
C’è da chiedersi, pertanto, che cosa ci sia all’origine di tale mutazione genetica dell’idea di scuola: probabilmente un’errata idea di cambiamento e una precipitosa elaborazione di affrettate e parziali – forse miopi – strategie di innovazione, che hanno il sapore di un marinettismo di ritorno. È noto a tutti che cosa generò l’ideologia propagandata da Filippo Tommaso Marinetti.
Apologeta di un neofuturismo, anche Renzi inneggia all’energica rottura con la tradizione – tutta da rottamare! – e proclama la forza travolgente della “macchina”: come ai suoi tempi Marinetti nel Manifesto del Futurismo celebrava l’automobile, oggi Renzi esalta la velocità del digitale, tanto da inserire nella legge 107 un’apposita sezione dedicata al Piano Nazionale Scuola Digitale. E ha inventato, così, delle strane figure professionali, gli “animatori digitali”, che nel nome evocano l’atmosfera dei villaggi turistici (“animatori”, divertimento, euforica allegria!) e, invece, sono insegnanti, in genere di Informatica, che stanno alfabetizzando docenti kamikaze, pronti a farsi sostituire da piattaforme didattiche on line, più agili e adeguate ai tempi, tanto adeguate ai tempi da rendere gradualmente superate le classi reali, visto che esisteranno quelle virtuali. Insomma, la scuola di Renzi è all’avanguardia, tutta sul web, pullulante di internauti. Basta con le relazioni umane e la socializzazione: parole del passato!
Quadro apocalittico? Mah!Vedremo.
Una nota frase di Clifford Stoll ammonisce: un computer non può sostituire un buon insegnante. Cinquanta minuti di lezione non possono essere liofilizzati in quindici minuti multimediali. (2)
A ben guardare, il metodo di insegnamento più efficace e rivoluzionario è stato inventato 2500 anni fa da Socrate e consiste nella forza della parola che trasforma la classe in una comunità ermeneutica e fa del docente un uomo di cultura, lontano da ogni tecnicizzazione dell’insegnamento
Questo non significa affatto escludere le nuove tecnologie digitali dal mondo della scuola. Piuttosto bisogna pensare a una scuola in grado di colmare il vuoto che Internet non può colmare, quello dei sentimenti: una scuola con Internet, ma oltre Internet, suggerisce Vittorino Andreoli (3).
Chi si occupa di politica, dunque,  ha il dovere di conoscere capillarmente il mondo che pretende di cambiare e di interrogarsi sul senso, sui modi, e sulla effettiva necessità dei cambiamenti che progetta.
Infine, esiste una risposta almeno ad uno dei problemi di fondo che questa riforma – ancora vergognosamente senza decreti attuativi – lascia aperti? In che cosa consiste, a scuola, il vero “merito”? Chi è davvero il buon insegnante?
Si potrebbero rilanciare i modelli evergreen di Maria Montessori e di Don Milani. Oppure, più realisticamente, basterebbe riflettere su quello che è, nei fatti, l’impegno di ogni giorno, vissuto con responsabilità.
Il buon insegnante si riconosce dalla passione che trasmette ai suoi studenti quando li sostiene nella ricerca di senso e soffre nel percepire che i giovani saranno più ignoranti dei loro padri, non certo per svogliatezza o per disinteresse, ma perché sottratti allo studio da un sistema che, scientemente, li  vuole come automi,  incapaci, cioè, di pensare perché siano manipolabili nell’agire. Sembra realizzarsi la profezia distopica di R. Bradbury: non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami, fatti che è meglio che restino dove si trovano. (Fahrenheit 451).
Un buon insegnante, infine, è quello che non crede agli slogan di chi propaganda una scuola apoditticamente definita “buona” e la cui “bontà” è palesemente smentita dai fatti.
Un buon insegnante non aspetta che un principe azzurro venga a rompere l’incantesimo della mela avvelenata: semplicemente non cede agli inganni, sa che non deve mangiarla.
1 – M. Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, 2014
2 – C. Stoll, Confessioni di un eretico high-tech, Garzanti, 2001
3 – V. Andreoli, L’educazione (im)possibile, Rizzoli, 2014


Lettera di due insegnanti travolte da un’insolita riforma renzusconiana in un immenso mare fatto di carte
di Claudia Pepe e Annachiara Piffari,  Lettera 43, 13.6.2016
Un insegnante è una figura professionale che appartiene all’ambito dei lavoratori della conoscenza che opera principalmente nell’ambito delle istituzioni dell’educazione formale come risorsa umana appartenente ad uno specifico progetto educativo.
Questa è la definizione che ci offre Wikipedia e che più la leggiamo più ci fa innervosire.
In questo momento in cui sta finendo un anno scolastico sempre sull’orlo di una crisi di nervi, non possiamo che stilare un bilancio non delle competenze come da nove mesi ci sta assillando e tormentando l’INDIRE facendoci dire, ridire, riflettere e farci ri-riflettere sulle stesse cose, facendoci inserire immagini, power-point che non si caricano, schede di progettazione, questionari, portfoli, peer to peer, competenze in entrata e in uscita, ecco ora ci chiediamo se la nostra professionalità sia stata mistificata e tramutata in un mansionario preciso in cui i vari governi hanno giocato, addossandoci compiti e funzioni che non ci sono proprie.
Innanzitutto, piantiamola con l’utilizzo dei vocaboli “missione” e “vocazione”, che associano la professione insegnante alla figura del missionario e quindi al volontariato, come se fosse normale e dovuto che un insegnante lavori gratis “per il bene dei ragazzi”.
Il volontariato si può fare e ognuno è libero di farlo, ma nei luoghi e nei tempi deputati.
Vogliamo tanto per ricordarci sempre come siamo finiti, stilare un breve ma rilevante elenco di compiti, incarichi, funzioni e doveri che quel famoso insegnante amato da Socrate si ritrova a fare negli anni in cui quella maieutica i nostri governanti pensano sia una parolaccia?
Incominciamo.
Ecco le varie mansioni che ci sono state incollate addosso nel tempo, ovviamente senza prevedere alcuna retribuzione aggiuntiva:
Assistente sociale: dobbiamo procurare libri, quaderni, biro e fazzoletti; aiutare a compilare moduli, fornire informazioni sui servizi del territorio, attivare i detti servizi con colloqui e telefonate, organizzare il doposcuola.
Psicologo: dobbiamo ascoltare, risolvere problemi, segnalare, prestare attenzione al disagio e degli alunni e delle loro famiglie, renderci disponibili con le stesse a colloqui che vertano su problematiche personali, consigliare, risolvere, indirizzare. Un discorso a parte andrà fatto per gli allievi BES e dei DSA. Ma oggi ci soffermiamo solo su alcuni aspetti che bastano per urlare e sbattere la fronte ad uno stipite dell’armadio.
Mediatore culturale: dobbiamo sapere parlare diverse lingue, fornire materiale appositamente preparato, alfabetizzare, mediare conflitti, mantenere coeso e sereno il gruppo-classe.
Infermiere: dobbiamo saper medicare, disinfettare, eseguire una manovra di disostruzione pediatrica, riconoscere una crisi epilettica, saper praticare un massaggio cardiaco e prossimamente dovremmo pure somministrare farmaci.
Assistente alla persona: dobbiamo pulire nasi che colano, imboccare, sostenere fisicamente ragazzi, accoccolarci con loro nei momenti più duri, affrontare genitori cui le colpe e le frustrazioni della loro vita, non si sa come, vengono rigettati sulla coscienza di quei famosi insegnanti amati così tanto da Socrate.
Geometra: dobbiamo saper controllare e verificare la tenuta strutturale degli edifici scolastici.
Tecnico informatico: dobbiamo saper collegare un computer, risolvere problemi di connessione, montare e smontare monitor, stampanti, tastiere. Dobbiamo saper cambiare un toner, sostituire cartucce, far ripartire una LIM.
Segretario: dobbiamo compilare moduli, moduli, moduli, sia per quanto riguarda gli alunni che rispetto a quelli che riguardano la graduatoria del nostro servizio, il PTOF, RAV, PON,GLH, GLI,INDIRE, INVALSI, P.E.I., P.D.F., PAI,TIC ecc, ecc….
Meccanico: dobbiamo saper controllare la pressione delle gomme e verificare il funzionamento del quadro elettrico di un pullman verificare i guasti, le avarie, le parti danneggiate e usurate. Dobbiamo saperle riparare e sostituire, studiare un briciolo di tecnologia meccanica, motori a due e quattro tempi, sistemi di accensione e spegnimento, impianti di trasmissione e di frenata, sistemi di carburazione e raffreddamento. Controllare il corretto funzionamento del veicolo e conoscere i pezzi di ricambio, ma anche le gomme, i fari, gli estintori del pullman. Dovremo prestare attenzione alle caratteristiche costruttive, funzionali e ad alcuni importanti dispositivi di equipaggiamento: l’usura pneumatici, l’efficienza dei dispositivi visivi, di illuminazione, dei retrovisori. Dobbiamo stare attenti alle cinture di sicurezza e che i cari pargoli, ne facciano uso senza giocarci all’impiccato. Intrattenitori: dobbiamo saper fare divertire, saper ballare, cantare e recitare.
Vigili del fuoco: dobbiamo saper spegnere un incendio ed utilizzare correttamente un estintore.
Guida turistica: organizzare uscite telefonando all’impazzata, contrattando sui prezzi, controllare nomi e cognomi, autorizzazioni, numeri di cellulare, e incombenze da guardie carcerarie, per portare i ragazzi in gita e illustrare musei, chiese e castelli. Questo quando ci va bene, quando dobbiamo fare gite di più giorni, prima andiamo al Santuario più vicino per farci benedire e permutare l’indennità di tutti noi in cambio dell’astensione a ogni tipo di vizio legale. Anche di sopportare la tua collega che appena giri le spalle sai che ti sta facendo la schermografia radioscopica.
Prossimamente ci vorrebbero anche:
Educatori di campi scuola estivi-Animatori: far giocare, ballare, cantare….
Tutto ciò con un contratto scaduto e ipotecato fino al 2020, con un Dirigente Scolastico che ammaina le vele di chi non si prostra ai suoi ordini e un codazzo di sorridenti insegnanti che spolverano il pavimento dove le sue orme poseranno le sue amene verità.
Non scordandoci che quest’Italia si ricorda di noi,  solo per accusarci di qualsiasi evento naturale e soprannaturale avvenga nella vita umana.
Siamo valutati dall’ignoranza popolare che ci vuole mangia ferie, persone privilegiate che hanno tutti i pomeriggi liberi e nelle ore buche giocano a canasta.
E adesso noi ci chiediamo: ”Dove sta la didattica in tutto questo? La didattica quella scienza della comunicazione e della relazione educativa? L’oggetto specifico che si attua nella pratica d’insegnamento, l’organizzazione razionale dei metodi e delle azioni tese all’ottenimento di un efficace progetto educativo?
 Insegnare dando uno scopo all’insegnamento, poiché educare significa far venir fuori se stessi e noi docenti abbiamo il compito di “tirar fuori” all’allievo pensieri assolutamente personali, a differenza di quanti vogliono imporre le proprie vedute con la retorica e l’arte della persuasione.
Allora colleghi chiediamo a gran voce un ”mansionario chiaro”: chi ci governa abbia gli attributi di scrivere quali sono i compiti di un docente e, in base alle richieste, provvedere alla retribuzione adeguata.
Questo per noi, i genitori e il pubblico giudicante.
Ma ci sembra chiaro che vogliono regni la confusione per far di noi l’ennesima beffa di un’Istituzione che solo noi insegnanti portiamo avanti.
Non si migliora l’istruzione demoralizzando le persone che esercitano la professione dell’insegnamento ma esaltando le persone che creano tutte le altre professioni.
Anche se in molti i nostri insegnamenti non li seguono. E fanno parte di questo Governo.
 

Scuola, ‘Presidi sceriffi’ e le loro circolari illegittime: è l’effetto della legge 107?
di Claudia S. Blasting News  17.6.2016 
 
Dalle scuole giungono segnalazioni circa comportamenti scorretti da parte dei presidi: è l’effetto dell’autorità data loro dalla legge 107?
Può il preside della scuola obbligare i docenti ad eseguire direttive non richieste dalla normativa? Proprio qualche giorno fa avevamo trattato quali sono gli obblighi dei docenti alla fine delle attività didattiche, alla luce della nuova riforma scolastica. Ma come riporta il sito La Tecnica della Scuola, dagli insegnanti giungono segnalazioni circa alcuni dirigenti scolastici che tramite circolare interna impongono ai docenti di rimanere a scuola, in base al proprio orario di servizio, fino al 30 giugno. Ma questo obbligo non rientra fra quelli dettati dalla legge, salvo le eccezioni che abbiamo già trattato nell’articolo sopra. Altri dirigenti impongono il piano ferie in base a date d’ufficio, il che costituisce un altro atteggiamento illegittimo. Perché alcuni presidi si comportano in questo modo? È l’effetto psicologico del potere concesso loro dalla legge 107?
 
Disposizioni dei presidi e legge sulla scuola
In una circolare delle circolari in questione, il dirigente scolastico scrive che i docenti non impegnati negli Esami di Stato devono restare a disposizione dell’Istituto fino al 30/06 in base al normale orario di servizio. Come se non bastasse, conclude dicendo che se fosse necessaria disponibilità oltre il 30 giugno, sarà comunicato successivamente. Un’altra circolare impone ai docenti non impegnati con gli esami di Stato di prendere le ferie i primi 15 giorni di luglio e rientrare in servizio giorno 16 agosto per la realizzazione di programmi e progetti legati alla scuola e agli alunni che hanno riportato insufficienze. E quelli impegnati con gli Esami di Stato? Piano ferie organizzato anche per loro! Le ferie dovranno essere prese dal giorno dopo gli esami fino al 24/08. Per concludere citiamo un’altra circolare in cui il Dirigente scolastico ha deciso arbitrariamente di decurtare a tutti i docenti di ruolo tredici giorni di ferie godute per le vacanze natalizie e pasquali. Inutile dire che tutte queste comunicazioni sono illegittime. Si resta in attesa del parere dei sindacati e di un intervento dell’ANP (Associazione Nazionale Presidi), che dovrebbe chiarire al dirigente fino a che punto può spingersi per legge.


Il DS che disinforma e si attribuisce poteri che non possiede
Lucio Ficara,  La Tecnica della scuola  11.6.2016
La scuola è un’azienda e il DS un amministratore delegato?  Se così fosse allora sarebbe la fine della scuola pubblica e l’eutanasia del diritto allo studio per tutti gli studenti, a prescindere dall’appartenenza di classe.
Sentire alcune affermazioni choc fatte dall’Amministratore delegato di Enel davanti alla platea della Luiss , deve fare riflettere tutti noi, e deve far comprendere dove sta andando la nostra società e il mondo del lavoro. Ma cosa avrebbe affermato di così grave il Dott. Francesco Starace, amministratore delegato di Enel? Avrebbe detto come riportato dalla rivista Fanpage : ” Bisogna ispirare paura nei nostri dipendenti” e poi ancora: “ Individuare chi è contrario al cambiamento, portarlo al malessere e distruggerlo”.
 
Frasi come queste sono di linguaggio comune tra i manager e non fanno certamente gridare allo scandalo. Ma c’è chi teme, a torto o a ragione, che gli stessi metodi aziendali, attraverso le maglie della Buona Scuola, saranno attuati all’interno delle nostre scuole, con un Preside Kapò pronto ad ispirare paura e individuare i contrastivi e gli immeritevoli. Ecco che diventano allarmanti certi comportamenti, anche se isolati e circoscritti, di alcuni dirigenti scolastici che disinformano e si attribuiscono poteri che non possiedono.
 
È il caso di una dirigente scolastica, poco incline al rispetto degli altri e del diritto del lavoro, che chiama nell’Ufficio di presidenza due docenti per comunicazioni sugli organici. La Ds comunica alle docenti la decisone di assegnare loro 2 cattedre orario esterne con completamento in comune diverso e pure al serale di altra tipologia di scuola. Le docenti chiedono alla dirigente di vedere l’organico per capire come mai è stata presa questa decisione. La risposta della dirigente è veramente agghiacciante: “Con la legge sulla Buona Scuola, siamo noi dirigenti scolastici a decidere l’assegnazione delle cattedre e delle classi, voi vi dovete adeguare e non potete fare altro che accettare questa mia disposizione, sono io che scelgo chi va in organico di potenziamento e chi in cattedra orario esterna”. Verrebbe da pensare che la Ds in questione abbia seguito un corso accelerato tenuto dall’Amministratore delegato di Enel, e che quindi sia stata assalita dalla sindrome di onnipotenza e dal desiderio di epurazione. Ma come stanno nella realtà le cose per le due docenti a rischio epurazione?
 
Riportiamo la Ds con i piedi per terra e diciamo che le due docenti hanno tutto il diritto a restare interamente nella loro scuola di titolarità. Infatti in tale scuola sono state assegnati dei posti di potenziamento nelle classi di concorso delle due docenti, in modo da evitare per costoro l’uscita e il completamento in altra scuola. In buona sostanza il posto di potenziamento, piaccia o non piaccia alla DS, serve per riassorbire soprannumeri ma anche per evitare che un titolare debba completare in altra istituzione scolastica.
 
Quindi se c’è un posto di potenziamento e l’ultimo in graduatoria d’Istituto dovrebbe finire su cattedra orario esterna, questo viene riassorbito automaticamente sul posto di potenziamento tutto interno e la cattedra orario esterna verrà data alla mobilità.Speriamo che la DS abbia dato un’informazione sbagliata per ignoranza e non per incutere paura, facendo credere di avere più poteri di quelli che la legge 107/2015 già conferisce. Invece altra questione è l’assegnazione dei docenti alle classi e anche ai posti interni sia di organico di diritto che di potenziamento. In tal caso è il DS a decidere, con la sola limitazione dei criteri del Consiglio d’istituto e dei quadri orari, cosa attribuire e a chi.


Festeggiamenti per la pensione dei colleghi, Preside chiama i Carabinieri e blocca tutto
di Vincenzo Brancatisano Orizzonte Scuola
Volevano festeggiare i colleghi andati in pensione, ma il preside chiama i Carabinieri e la festa finisce male, anzi malissimo.
Succede in un istituto tecnico calabrese, dovevulevant e pasticcini vanno a farsi benedire assieme alle musiche e a tutte le onoreficenze culinarie e goderecce che si è soliti programmare in occasione del pensionamento dei docenti dopo decenni di onorata carriera. Ma quale onorata carriera! Se c’è un’onorabilità da proteggere semmai è quella della scuola, e festeggiamenti di tal fatta mal si addicono al prestigio dell’istituzione.
Questo si deduce dal tono e dal contenuto del decreto affisso all’Albo della Buona scuola calabrese che non lascia margini di dubbio circa la determinazione del dirigente, che sottolinea il “fine istituzionale dell’attività scolastica e il conseguente utilizzo di tutti i locali di questo istituto allo scopo destinati”.
Non importa che la ministra della Buona scuola intenda aprire fin da subito le scuole, d’estate, di pomeriggio e di sera, alla collaborazione di enti, associazioni e famiglie.
Non importa se la consuetudine diffusa da tempo immemorabile in tutta Italia permette, tollera e anzi favorisce, nell’ottica della solidarietà e dell’affiatamento tra i professori, momenti di vicinanza e di gioia nelle nostre scuole. La consuetudine non può andare contro le leggi e le leggi, secondo il dirigente, vietano utilizzi impropri dei locali della scuola, pensata c’immaginiamo per ben altri scopi.
Atteso che “negli anni passati vi è stato utilizzo improprio di tale uso – proprio così si legge nel decreto– in concomitanza del termine dell’attività lavorativa per entrata in quiescenza di alcuni dipendenti, preso atto che il festeggiare il dipendente che va in pensione è un fatto assolutamente privato che esula totalmente dall’attività istituzionale della scuola, visto il decreto legislativo n. 165/2001 che all’art. 25 individua nel Dirigente scolastico la figura preposta, tra l’altro, alla legale rappresentanza, ad esercitare autonomi poteri di direzione e di coordinamento ed ad organizzare l’attività scolastica, decreta di far divieto di utilizzo dei locali scolastico per fini non istituzionali”.
Il dirigente decreta inoltre “di esplicitare che non rientrano nei fini istituzionali tutti i tipi di festeggiamento per salutare i dipendenti che verranno posti in quescienza tramite l’introduzione nei locali sciolastici di sostanze alimentari, bevande e quant’altro e/o accompagnare con musiche di qualsiasi tipo tali saluti e/o invitare persone estranee alla scuola”. Incarica pertanto “i docenti collaboratori e fiduciari di plesso all’attuazione di tale divieto”.
Infine decreta “di porre a conoscenza alle competenti forze dell’ordine per territorio del presente decreto in via preventiva ove necessitasse il loro intervento”.
Il decreto è inviato ai docenti e alla Stazione dei Carabinieri e reca l’avvertenza di rito secondo la quale “avverso il provvedimento è ammesso ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro 120 giorni oppure ricorso giurisdizionale entro i giorni previsti dalla legge a far data dalla “pubblicazione all’Albo di questa Istituzione scolastica”.
Chissà se i docenti si recheranno dall’avvocato e se i pensionati, in caso di vittoria, torneranno a scuola per un ultimo festeggiamento. E soprattutto chissà se i vulevants saranno ancora buoni da mangiare.



“Non prendete a pugni il Dirigente scolastico”
Aldo Domenico Ficara,  La Tecnica della scuola  30.5.2016
Una volta nei saloon del far west si scriveva “non sparate al pianista”, oggi nelle nostre scuole si dovrebbero appendere dei cartelloni con su scritto “non prendete a pugni il Dirigente scolastico”.
A riprova di quanto scritto, si riportano tre incresciosi episodi accaduti a Trieste, Formia e Milano, di cui sicuramente il sistema scolastico nazionale avrebbe potuto fare a meno.
Primo episodio a Trieste: La formula dubitativa è necessaria perché quanto accaduto a Trieste e denunciato dalPiccolo è un fatto che, per quello che si comprende, non ha testimoni. Cosa scrive il Piccolo, principale quotidiano di Trieste? “Il docente, che l’avrebbe presa a pugni in faccia, è stato prontamente querelato dalla preside: il referto medico parla di contusioni guaribili in 15 giorni. L’atto di violenza – che ha innescato poi l’arrivo dei carabinieri e di un’ambulanza – non è accaduto però in mezzo agli studenti, in classe o in corridoio, ma nella sala della presidenza, perciò a quanto pare non ci sono testimoni che abbiano assistito al gesto.” Interessanti alcuni passaggi dell’articolo, quando si scrive che “A scatenare l’ira del professore sarebbe stata una discussione relativa alle sue mansioni: al richiamo da parte della preside perché il docente non avrebbe svolto con attenzione la sua attività di sorveglianza nei confronti degli studenti, il prof si sarebbe inalberato, colpendola con un pugno in faccia”.
Secondo episodio a Formia: Una lite degenerata e sfociata in un doppio arresto. E’ quanto accaduto la mattina del 28 maggio a Formia, presso l’Istituto Dante Alighieri della città pontina. Secondo quanto appreso protagonisti, in negativo, dell’incredibile vicenda una collaboratrice scolastica e il suo compagno, C.R. classe 1956 e la donna D.P.B. classe 1946 incensurati ed originari di Formia entrambi finiti ai domiciliari per aver aggredito il dirigente scolastico. Il tutto sarebbe partito da un acceso confronto verbale tra la donna, alcuni docenti dell’Istituto e appunto il dirigente scolastico, le ragioni sarebbero un diniego in merito alla concessione di un permesso richiesto da un’insegnate. Gli animi già caldi si sarebbero surriscaldati dopo l’arrivo del compagno della donna che si sarebbe scagliato proprio contro il preside dell’istituto. Sembrerebbe, secondo quanto raccontano alcuni testimoni, che sarebbero volati anche alcuni colpi proibiti, nel quale avrebbe avuto la peggio proprio il dirigente scolastico, raggiunto da un pugno al volto.
Terzo episodio a Milano: Piomba alle sue spalle quando è sola nell’atrio della scuola, le dà uno spintone, grida “te ne devi andare” e sferra un pugno in pieno volto. Vittima dell’aggressione è la preside della scuola elementare statale di viale Romagna. Sconosciuta l’identità dell’uomo che l’ha colpita, giovedì mattina, intorno alle nove e mezza. Sono passate da poco le nove e mezza. Maestri e alunni sono nelle classi alle elementari Nolli Arquati, le lezioni sono iniziate da un’ora e non è ancora tempo per l’intervallo. Lei è ferma nell’atrio davanti all’ascensore nell’edificio di viale Romagna 16. In quel momento non c’è nessuno, l’ingresso, con i commessi, si trova nell’altro edificio, al numero 18. Una persona arriva alle sue spalle, si avvicina, inizia a urlare, la colpisce al viso.
Il commento – Bancari al collegio docenti per vendere prodotti e servizi agli insegnanti

Lucio Ficara,  La Tecnica della scuola  21.5.2016
 
– Ci mancavano giusto le banche nella scuola pubblica statale, così, per completare l’opera.
 
Evidentemente l’ingresso in pompa magna dei privati e dei comitati d’affari nella scuola pubblica statale che molti lungimiranti e cattivi profeti paventavano è divenuto realtà.
 
È l’incredibile storia accaduta lo scorso 18 maggio in un istituto comprensivo di un comune della provincia di Genova. I docenti della scuola in questione, indignati e costernati per aver dovuto subire per un’ora la pubblicità di offerte creditizie, finanziarie e commerciali proposte da 4 funzionari di un istituto di credito, si sarebbero visti piombare nell’aula magna dell’istituto, a loro insaputa, questi brillanti promotori finanziari a caccia di clienti.
 
I bancari, erano stati ovviamente autorizzati a presenziare al collegio e presentati agli ignari insegnanti dal dirigente scolastico, al quale forse è sfuggito di trovarsi in una istituzione pubblica – “la Scuola Pubblica Statale” – e in seno ad una importante riunione di organo collegiale, e non in un meeting pubblicitario della propria azienda privata.
 
Questi fenomeni, purtroppo, sono in crescita esponenziale nelle scuole pubbliche, derivanti forse da una distorta e autocratica visione e gestione dell’autonomia scolastica.
 
Fatto sta che ormai ai più non sfugge che alcuni Presidi si atteggiano a veri e propri titolari d’azienda, e cercano sponsor, chiedono finanziamenti, stringono patti e alleanze, stipulano convenzioni con qualsivoglia società o azienda privata.
 
Un vero campo minato dunque, per gli stessi DS, che potrebbe anche ricondurre a legittimi pensieri d’insane o poco limpide dinamiche dei motivi per cui un dirigente della scuola pubblica abbia interesse ad entrare in questi affaristici rapporti con soggetti privati.
 
Il dirigente scolastico, purtroppo o per fortuna, è solo un mero dirigente della pubblica amministrazione e non un amministratore delegato d’azienda o un imprenditore, e come dirigente della pubblica amministrazione ha il dovere e l’obbligo di attenersi scrupolosamente alla disciplina giuridica, legislativa e contrattuale vigente, che detta limiti e pone vincoli ben precisi e definiti.
 
Amministrare una pubblica amministrazione, lo sanno bene i Dirigenti, è cosa molto difficile e delicata, e le iniziative personali e arbitrarie potrebbero costare molto caro a chi “abusa” del proprio ruolo pubblico istituzionale per fini o scopi non meglio identificati; come del resto, proprio in questi giorni, stanno dimostrando parecchi casi balzati agli onori delle cronache giudiziarie nazionali.

Docente dimentica di registrare voto ad alunna, sanzionata dalla dirigente. Sarebbe bastato un semplice colloquio
di Vittorio Lodolo D’Oria, Orizzonte Scuola,  19.5.2016
Il rapporto dirigente-docenti, si sa, è spesso difficile e fonte di stress lavoro correlato. Talvolta capita di imbattersi in contenziosi che dovrebbero essere risolti dalle parti con un semplice colloquio e un pizzico di buona volontà.
Esaminiamo il caso di una docente che, nell’esercizio della professione, incappa in un errore (dalla stessa ammesso e pubblicamente riconosciuto) che induce la dirigente a muoverle una contestazione di addebito. Rivoltasi al sottoscritto, ho suggerito all’insegnante che l’esercizio del diritto di difesa, attraverso una risposta scritta ben congegnata, avrebbe potuto costituire un valido strumento per indurre la rigida e intransigente preside a recedere dalla sua azione disciplinare, soprassedendo così a una qualsivoglia sanzione.
I fatti
Alla fine del primo quadrimestre, una docente si dimentica di registrare il voto di un’alunna nella propria materia. La ragazza fa presente la svista all’insegnante che riconosce l’errore materiale ed esenta la studentessa dalla partecipazione al corso di recupero, poiché il voto non registrato le avrebbe consentito di raggiungere la sufficienza. Venuta a conoscenza della cosa per vie traverse (famiglia della giovane e colleghe), la dirigente ritiene grave la suddetta mancanza e decide di avviare una contestazione di addebito alla docente, calcando un po’ troppo la mano. Infatti, a fronte dell’errore materiale involontario di cui sopra, peraltro riconosciuto con rammarico e dispiacere, la dirigenza contesta per iscritto all’insegnante i seguenti punti:
  1. Aver determinato pregiudizio nel rapporto fiduciario tra scuola e famiglia
  2. Aver determinato pregiudizio nel rapporto fiduciario tra insegnante e dirigente scolastico
  3. Aver compromesso l’immagine e il prestigio della stessa istituzione scolastica
  4. Aver denotato scarso rispetto e noncuranza verso le aspettative degli studenti
  5. Aver denotato scarsa attenzione al momento della valutazione
La replica scritta (esercizio del diritto di difesa)
L’insegnante dapprima si difende ammettendo le proprie responsabilità, quindi evidenzia le incongruenze dei rilievi a lei mossi, poi passa al contrattacco diffidando la preside dall’operare un’azione vessatoria piuttosto che sanzionatoria, infine chiude con la richiesta di archiviazione della pratica.
Scrive la docente:
… Appare invero evidente che ammettere un errore personale, in cui ciascuno di noi può incappare in un qualsiasi momento della propria vita professionale, costituisce semmai occasione privilegiata per rafforzare un rapporto fiduciario di una qualsivoglia relazione, proprio in virtù del riconoscimento dei propri limiti. Così è stato l’atteggiamento con la famiglia in causa attraverso la studentessa
I capi 1; 3; 4; 5; sono palesemente infondati perché, per loro evidente natura, non possono poggiare su un singolo episodio, come quello contestato nella fattispecie, ma richiedono una valutazione del lavoratore completa e circostanziata nel tempo. Non è infatti veritiero, né tantomeno legittimo, estrapolare una condotta professionale da un unico episodio selezionato e per giunta negativo.
Solamente qualora l’errore contestato da “sporadico” divenisse “abituale”, perché reiterato nel tempo, vi potrebbero essere gli estremi per muovere i suddetti capi d’imputazione.
Merita considerazione a parte il 2° capo d’imputazione (aver determinato pregiudizio tra presidenza e insegnante). Il richiamato pregiudizio potrebbe infatti aver indotto la presidenza a eccedere, enunciando anche gli altri quattro capi in virtù dell’unico episodio contestato finendo con lo scadere in un’azione vessatoria.
Le conclusioni
Nel rinnovare le mie scuse per l’errore materiale commesso e ammesso, ribadisco l’involontarietà dello stesso e garantisco una maggiore attenzione futura perché un simile episodio non si abbia più a ripetere. Rigetto altresì integralmente, e nel modo più assoluto, le imputazioni mosse a mio carico in quanto infondate e palesemente eccessive per le ragioni suesposte. Dichiaro fin d’ora che qualsiasi azione sanzionatoria dovesse essere adottata nei miei confronti, per i succitati addebiti, mi vedrà costretta a tutelarmi legalmente impugnando qualsiasi azione disciplinare perché indebita e vessatoria (mobbing).
Richiesta
Si richiede pertanto l’archiviazione delle contestazioni di addebito a carico della scrivente.
Conclusione
La contestazione di addebito è stata definitivamente archiviata. Ci piace pensare che la vicenda sia finita così poiché la preside ha consapevolmente riconosciuto di aver ecceduto nella propria azione. Tuttavia la risolutezza dell’insegnante nel far valere le proprie ragioni ha prodotto di sicuro i suoi effetti. Opportuno infine concludere rammentando che il buon rapporto tra dirigente e docenti resta inevitabilmente l’ingrediente indispensabile per il buon funzionamento di una qualsiasi scuola. Solo una buona intesa tra dirigente e docenti può oggi fare fronte a un’utenza pronta ad aggredire la scuola dalla quale tutti pretendono senza nulla offrire.